Una stretta di mano è troppo poco per parlare di clima rasserenato, ma è meglio di niente. A Ostia, sul palco dell’Associazione nazionale della Polizia di Stato il presidente della Repubblica e il ministro dell’Interno si salutano con calore e insieme passano in rassegna il picchetto d’onore. Non c’è tempo per parlare, troppi occhi addosso, anche se di un chiarimento ci sarebbe tanto bisogno.
Al Quirinale l’allarme rosso è acceso da giorni. La stesura del Def è stata seguita con un’apprensione crescente, trapelata in una moral suasion in fin dei conti abbastanza sterile, perché ha solo contribuito a evitare le dimissioni del ministro dell’Economia Giovanni Tria, anche se l’inner circle mattarelliano preferisce non intestarsi neppure questo risultato minimale. La sua preoccupazione Mattarella l’ha manifestata con estrema chiarezza alla prima occasione utile, un impegno secondario come il saluto ai ciclisti che hanno pedalato da Torino a Roma in nome della Costituzione.
Si badi bene: il richiamo di Mattarella vale più per il futuro che per il passato. Vale, cioè, più per il prosieguo della sessione di bilancio che per l’annuncio del deficit al 2,4%. Il timore, par di capire, è che le cose possano andare anche peggio di così. Lo spiega la storia parlamentare: non esiste legge finanziaria del passato che si sia ridimensionata lungo il percorso verso l’approvazione. Quindi i saldi di cassa potrebbero addirittura peggiorare, facendo ancor di più paura ai mercati e all’Europa.
Al Quirinale gli occhi sono puntati sulla riapertura delle borse, stamattina, e a quello che succederà da qui a qualche settimana. Il richiamo all’equilibrio di bilancio come valore costituzionale sembra prefigurare una linea d’azione precisa per il prossimo futuro: Mattarella intende esercitare una vigilanza attiva per evitare il peggio. All’orizzonte si profila un braccio di ferro con il governo, che potrebbe essere punteggiato di controlli meticolosi su ogni provvedimento che comporti maggiori spese, visto che la declinazione concreta dell’equilibrio di bilancio è la copertura di ogni legge di spesa. E non è da escludere che vengano utilizzate strumenti come il rinvio alle Camere, o il messaggio, anche se ci sarà oculatezza nel ricorrervi: se il Parlamento approva la legge nella stessa formulazione censurata, il Capo dello Stato è tenuto a promulgarla.
Più efficace, secondo il costante pensiero mattarelliano, una moral suasion il più sotto traccia possibile per limitare i danni. Tenere l’Italia agganciata all’Europa è la missione che il presidente sembra essersi dato in questa fase. Non si tratta di opporsi frontalmente all’esecutivo gialloverde, che lui stesso ha contribuito in modo determinante a far nascere. Mattarella non ha pregiudizi di partenza rispetto al duo Salvini-Di Maio. Glielo impone — ha sempre spiegato — il suo ruolo di garante di tutti gli italiani. Ma tutelare il risparmio e garantire l’ancoraggio europeo appartengono ai suoi compiti istituzionali. E farà di tutto per rispettarli.
Al Quirinale si ragiona su quali potranno essere i modi per farlo. E in questa valutazione potrebbe essere ricompresa anche la valutazione della coincidenza delle intenzioni fra i due azionisti della coalizione di governo. Perché, al di là dell’apparente compattezza mostrata dai due vicepremier, nei giorni roventi del Def si sono intraviste crepe significative, con un M5s pronto a rompere pur di ottenere il reddito di cittadinanza, e un leghista di solito cauto come Giorgetti, più preoccupato che mai che questo potesse davvero accadere. La Lega è stata più duttile, ha accettato di diluire l’attuazione della flat tax, i grillini irremovibili rispetto al loro cavallo di battaglia. Per molti, dopo tanti punti segnati da Salvini, soprattutto sull’immigrazione, stavolta sono stati i 5 Stelle a dettare la linea al governo.
La differenza di sensibilità è parsa evidente anche agli industriali (il cui presidente dice di confidare nella Lega), e potrebbe essere alla fine utile anche al Quirinale, che nei prossimi mesi sarà impegnato a cercare di impedire che la marea gialloverde esondi dagli argini del possibile. Alla fine, insomma, potremmo vedere persino un gioco di sponda fra Salvini e il colle più alto.