West Side Story è il lavoro più noto di Leonard Bernstein: dal debutto al National Theatre di Washington in un afoso 19 agosto 1957 si contano centinaia di edizioni, in quasi tutte le principali lingue (non solo occidentali ma anche dell’Asia centrale, dell’Africa e dell’Estremo Oriente) ed allestimenti di ogni natura (da quelli chiaramente per grandi teatri a quelli da “dinner theatre” affidati a dilettanti), nonché un film che, nel 1963, ha raccolto ben nove Oscar. Ho visto il film più volte – la prima nella primavera 1963 a Venezia. In scena vidi il lavoro sia a New York nel 1980 al Minskoff Theater sia al Teatro Brancaccio (nell’ambito della stagione del Teatro dell’Opera di Roma) sia alla Scala nel 2000; tutte versioni differenti spiegherò – da quella che il 12 ottobre ha inaugurato la stagione sinfonica 2018-2019 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di cui ‘Lenny’ Bernstein è stato Presidente e direttore onorario.
E’, quindi, uno di quei lavori a cui ci si accosta con riverenza ed apprensione. Da un lato, il dramma in musica ispirato al Romeo e Giulietta di Shakespeare può apparire datato; come lo era, in effetti, già nel 1957 tanto che lo stesso titolo (inizialmente East Side Story) venne cambiato perché, nell’arco di circa dieci anni di gestazione, l’area di scorrimento e di scontro tra bande di adolescenti newyorchesi si era spostata dall’East Side (diventato un quartiere elegantissimo) alla zona del West Side tra Harlem e la Columbia University. Da un altro, lo stesso Bernstein rielaborò, nel 1984, il lavoro per un’ edizione in studio concepita per renderlo fruibile nei teatri d’opera. In primo luogo, utilizzò grandi voci impostate per la lirica: nell’edizione da lui diretta ed edita dalla Deutsche Grammophone venivano sfoggiate le voci di José Carreras, Kiri Te Tanawa, Tatiana Troyanos e Marilyn Horne. L’orchestrazione era stata rivista (con l’aiuto di Sid Ramin e Irwin Kostal), i ballabili leggermente tagliati e i dialoghi in buona parte eliminati.
Questa è la versione che si è vista ed ascoltata nella Sala Santa Cecilia del Parco della Musica di Roma, una versione sostanzialmente differente da quelle viste ed ascoltate nel 2000 alla Scala (essenzialmente la messa in scena della produzione ‘musical’ del 1957) e Roma (un allestimento dell’Opera di Göteborg, in cui, pur mantenendo integrale la parte musicale del 1957 ed aggiungendo al testo solo qualche epiteto del linguaggio giovanile contemporaneo, la vicenda veniva trasferita ai giorni d’oggi e regia e coreografia venivano modificate abbastanza radicalmente).
La produzione di Santa Cecilia è la versione ‘in forma di concerto della San Francisco Symphony autorizzata dall’autore in persona. E’ la prima volta che si ascolta in Italia, mentre l’opera West Side Story (da non confondersi quindi con ‘il musical’ del 1957) si è vista negli ultimi anni a Torino e a Trieste.
A Santa Cecilia (così come a San Francisco) West Side Story non viene presentata strettamente in un’edizione da concerto ma piuttosto in una versione ‘semi-scenica’. I cantanti, il coro ed anche parte degli strumentisti indossano abiti di foggia Usa della fine degli Anni Cinquanta, c’è un’ottima recitazione su un palco tra orchestra e coro femminile. Le pari dialogate sono riassunte in didascalie, mostrate sui sopratitoli. Il dramma, quindi, non solo in buca e nelle voci ma anche in azione scenica.
Antonio Pappano ama moltissimo il lavoro e lo ha concertato in modo appassionato ed infiammato estraendo dall’orchestra sonorità sontuose Ottimo, come sempre, il coro diretto da Ciro Visco; quello femminile accenna, mentre canta, anche a passi di mambo. Un cast di altissimo livello. Conosciamo da tempo Nadine Sierra per le sue interpretazioni da soprano lirico di coloratura nei maggiori teatri lirici anche italiani, è una Maria dolcissime. Non conoscevamo Alek Shrader (Tony) un incantevole tenore lirico americano dalla voce leggermente brunita con un ottimo fraseggio, un perfetto legato ed acuti squillanti. Di grande livello tutti gli altri, anche gli artisti del coro utilizzati come solisti nelle parti minori.
Molto pubblico giovane a cui si rivolge sempre più l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Applausi durante l’esecuzione ed al termine dieci minuti d’ovazioni.