“Hanno vinto De Gasperi e Guareschi”, titolava il Times di Londra sul risultato delle elezioni italiane del 18 aprile 1948, quelle che suggellavano la grande svolta italiana nella scelta occidentale e la sconfitta del Fronte popolare. E’ uno dei tanti paradossi della storia, perché quei due personaggi furono poco dopo al centro di uno scontro che portò Giovanni Guareschi in carcere per 15 mesi, per quello che aveva scritto sul primo ministro italiano.
In un Paese come l’Italia, noto per la sua memoria “vacillante” e, secondo alcuni storici d’avanguardia, per il “diritto all’oblio”, tutto questo è confinato nel territorio della dimenticanza selettiva, quella che confonde quasi scientificamente le coscienze e non stabilisce gli esatti passaggi della nostra storia nazionale. E anche l’episodio di quel contrasto famoso è ricordato in modo contraddittorio e confuso.
Ma ciò che appare incredibile è che oggi, ancora oggi, Giovanni Guareschi è un grande scrittore italiano più conosciuto e più apprezzato all’estero che in Italia. Nel Belpaese sono popolari e conosciuti Don Camillo e Peppone (i protagonisti nati dalla penna dello scrittore) per una serie di film di successo, ma se già si parla di Mondo piccolo, quello che descrive il contesto da cui emergono i due personaggi, si vede lo smarrimento anche di alcuni lettori abituali e magari appassionati, ma soprattutto si coglie una certa insofferenza della famosa intellighenzia italiana.
Per smentire clamorosamente questa supponente, confusa e autoreferenziale “cappa” imposta da sedicenti intellettuali, basta guardare ai numeri: Guareschi è stato tradotto in tutte o quasi le lingue del mondo; i suoi racconti sono stati venduti a milioni di copie e sono stati oggetto di analisi letterarie e di carattere sociale e politico. E in diversi paesi, gli stessi scritti e i film basati su quei racconti hanno diviso critici e opinione pubblica, in dibattiti appassionanti.
Solo l’Italia ufficiale, quella conformista, supponente e autoreferenziale, ha relegato Guareschi in una sorta di “limbo” imprecisato, dove se ne apprezzano alcune doti, ma non si approfondisce mai adeguatamente il grande valore letterario e umano, la grande testimonianza di una vita vissuta con infinita passione.
C’è in Guareschi innanzitutto una chiarezza di scrittura, una semplicità grandiosa, mai una faciloneria d’accatto, che dimostra la passione di farsi comprendere, di comunicare realmente e non di “pontificare” con il linguaggio degli “illuminati”. Poi, cercando di trovare una sintesi interpretativa degli scritti di Guareschi, si nota subito l’intelligenza di cogliere gli aspetti di un’umanità che può essere divisa in fazioni irriducibili, ma ha la capacità di andare avanti e di assolvere al compito storico che una comunità di uomini ha il dovere di affrontare.
E da questo contesto saltano fuori anche le personalità individuali, con le loro contraddizioni umane, le loro virtù civili e sociali e le passioni profonde che hanno plasmato il loro carattere.
In più c’è la passione per quello che viene chiamato, spesso con supponente indifferenza, il popolo, l’umanità di un popolo, che in genere viene sempre relegato su uno sfondo indistinto e invece con i racconti di Guareschi è un protagonista così come gli attori principali della storia.
Nella poco piacevole tradizione italiana, oggi forse si è dato il via a una bella e grande riscoperta. E’ un merito di alcune persone che hanno costituito un Comitato Guareschi. E ci sono testimoni prestigiosi, come il figlio di Guareschi, Alberto, che ha permesso ad alcuni studiosi di guardare tra le carte dello scrittore. Solo le prime riflessioni e i primi studi su quelle carte forniscono l’immagine non di un uomo o di uno scrittore che in Italia veniva definito sbrigativamente di “destra”, ma piuttosto di un uomo libero che, proprio per questa passione di libertà, veniva accolto con diffidenza dall’establishment politico e letterario.
In un convegno svoltosi all’Università Cattolica il 10 ottobre scorso sono emersi dei particolari significativi e inediti. Dalle relazioni di Ermanno Paccagnini, Pieratonio Frare, Raffaele Chiarulli, Arturo Cattaneo, Antonio Zanoletti e ancora da Daniela Tonolini e Paola Ponti, emerge la figura di un uomo che sembra addirittura “pignolo”, ma è invece solo puntiglioso nel difendere quello che ha realmente scritto e che, in altre lingue, è stato impropriamente tradotto. Così come nella difesa del significato reale di quello che ha scritto, rispetto alla trasposizione cinematografica del regista francese Julien Duvivier.
Gli appunti appassionati di un grande come Guareschi fanno comprendere perché il suo messaggio originale di libertà sia stato considerato anche pericoloso per alcuni sistemi politici. Si pensi che se in Italia Guareschi passava come un uomo di destra per la vulgata intellettuale, nell’America del maccartismo degli anni Cinquanta si pensava che il film Don Camillo e, inevitabilmente, la descrizione del “Mondo piccolo”, parlasse troppo bene dei comunisti e quindi bisognasse stoppare qualsiasi possibile candidatura agli Oscar, come di fatto avvenne. Lo fece la Cia, come si evince dalla lettera di Lubraschi, suo agente a Hollywood, presentata nel convegno. E poi le informazioni particolari della Cia, diffidente anche con i suoi informatori, sulla libertà totale dello scrittore.
Alla fine, dall’opera di Guareschi salta fuori un pezzo importante di storia italiana, non solo il “Mondo piccolo”, ma un mondo che aveva paura della libertà. E’ una riscoperta da continuare per non restare orfani di “gioielli” dimenticati in un cassetto.