Nel 2016 Emanuele Lelli, con Sud antico (Bompiani) presentava, come recita il sottotitolo del volume, il “diario di una ricerca fra filologia ed etnologia“. L’autore, infatti, docente al Liceo “Tasso” e alla “Sapienza” di Roma, filologo e studioso di poesia ellenistica e di letteratura scientifica e tecnica, ma anche della cultura popolare, con questo volume ha offerto al lettore un singolare viaggio nel tempo, e in un passato che pare molto remoto, ma che solo due generazioni fa poteva sembrare dietro l’angolo, e che ancora può riemergere.
Infatti, su suggerimento di Luca Canali e con la consulenza di Bruno Gentili, che, purtroppo, non fecero in tempo a vedere il libro finito, Lelli aveva sistematizzato i suoi diari e gli appunti presi durante i soggiorni, rispettivamente, nell’Aspromonte greco, nel tratto dalla Val d’Agri lucana ai Nebrodi Siculi, nella Grecia salentina, Murge e Daunia, nella terra degli Aurunci e, infine, in Sardegna: l’idea chiave era quella di un continuo dialogo fra antico e moderno, con un dettagliato elenco degli anziani consultati, che serbavano memoria di usanze, tradizioni, detti e proverbi, dei quali, quasi incredibilmente, si trova traccia e documentazione nei testi classici, appartenenti sia alla letteratura tecnica che alla grande poesia.
Un meccanismo esattamente speculare sembra invece avere sostenuto l’ideazione e la scrittura di Vitamina classica. Approccio semiserio alla cultura dell’antico (Youcanprint editore, 444 pp.) di Francesco Polopoli. L’autore, filologo classico e grecista, specialista in filologia neotestamentaria e studioso di Andrea di Cesarea, oltre che di Gioacchino da Fiore, assomma alla competenza filologica la capacità didattica e comunicativa (è stato docente di latino prima nel liceo “Don Lorenzo Milani” di Romano di Lombardia (Bergamo), e ora nel Liceo classico di San Giovanni in Fiore). Pertanto, Polopoli ha voluto prodursi in un esperimento: se, infatti, il presente ha un cuore antico, come spesso si dice, non potremmo anche dire che l’antico ha, talvolta, un cuore pop ante litteram? Questa successione di notazioni divertite e divertenti, che assommano passione didattica, dottrina e ironia è in parte già stata pubblicata per stralci su lameziaterme.it, oltre che con interventi su La tecnica della scuola e Orizzontescuola, testate on line ben note ai professionisti dell’educazione.
Come ci spiega la Prefazione di Virginia Gervasi, quella di educare è un’arte, una techne, che affonda le sue radici negli abissi del tempo: i valori atavici che ci sono stati tramandati, infatti, urlano in ognuno di noi e chiedono di risorgere, perché sono parte integrante del nostro essere. Potremmo prescindere dagli insegnamenti del mos maiorum e dai comportamenti fondamentali della pietas, della constantia e della gravitas? Non si può eludere la consistenza morale di quel profilo umano sinteticamente definito già da Catone il Censore vir bonus, dicendi peritus. Oltre duecento anni dopo, Quintiliano, nell’Institutio Oratoria, sosteneva, in una lungimiranza attualissima, che le capacità dell’eloquio fossero da posporre alle buone virtù morali, prima fra tutte l’onestà, che nascono in seno alla famiglia e che devono essere garantite a livello istituzionale di generazione in generazione. Possiamo forse prescindere, in un percorso formativo che si dica tale, dalla precettistica catoniana e dei nostri classici in generale? Sin dai tempi più remoti, il percorso formativo è stato improntato alla concezione del rispetto reciproco, dell’altruismo, della solidarietà, dei doveri, della responsabilità, della crescita del Sé, dell’amicizia, intesa in senso aristotelico; ed è rimasta invariata in ogni contesto spazio-temporale “la dimensione ontologica della formazione in un linguaggio di consonanza e non di iato”. Pertanto, il problema formativo è dettato da una matrice profonda: nei principi di chi li ha trasmessi con la consapevolezza di farli interiorizzare, “proprio perché, solo attraverso un sano processo di introiezione di sane idealità è possibile una crescita individuale, che è necessaria alla formazione di uno Stato”.
Ben vengano allora questi brevi e densi saggi che ci dimostrano la vicinanza dell’Antico: essi toccano gli argomenti più disparati, come “La canzone come attualizzazione del Classico”, che sviscera motivi e figure di lungo corso, da Omero e Mimnermo sino a Nada e Branduardi; e quindi con sinossi tra Battiato ed Eraclito, Giovenale e Vecchioni, sino all’ipotesi di una compilation in cui come parolieri ci siano Orazio, Ovidio, Properzio… e compagnia cantante, è il caso di dirlo.
Poi, scopriamo, attraverso una prova di traduzione in latino, che anche alla base di insospettabili prodotti dell’industria dell’intrattenimento, come i cartoni animati (Heidi e Anna dai capelli rossi, per esempio), si celano topoi ben radicati nel mondo classico. E anche la modernissima moda dei tatuaggi, che cosa sarebbe senza i motti latini che, insospettabilmente, decorano talora i bicipiti di bykers e di giovani donne dai fisici scultorei, sia VIP che meno noti, i cui corpi sono tutti un tripudio di Carpe diem, Audentes fortuna iuvat, Alis volat propriis, Frangar, non flectar e così via.
Come ci insegna Polopoli, al filologo anche la visione di una puntata di Ballando con le stelle, o le Barbie esposte in una vetrina, o la canzone di un caposaldo della cultura pop italiana come Heather Parisi, risvegliano memorie e citazioni greco-latine, in un continuo andirivieni fra il passato e il presente, che presenta un indubbio valore aggiunto, forse il più bello per chi propone la cultura classica: non è mai pedante.