Sulla rete si sta discutendo parecchio della nuova campagna di Toscani per Benetton. E’ noto che la coppia, ricomposta da poco, è da sempre a caccia di provocazioni, sicché non meriterebbe nemmeno di parlarne, visto che sono sempre uguali da decenni. La foto è ben fatta – e ci mancherebbe – e appartiene a quella tipologia di immagini che con tutta evidenza è l’unica che riesce bene a Toscani. Ma è l’insieme di foto e testo a far discutere. Nello scatto si vedono nove ragazze e ragazzi di varie etnie, nudi, mentre si abbracciano, si sfiorano, si toccano, inguini contro glutei, neri e bianchi che si accarezzano con in mezzo a loro le ragazze. Hanno sguardi spenti, sembrano decerebrati, o – come si legge in diversi post di Facebook – paiono reduci da una fumata di marijuana, oppure pronti per un set a luci rosse. Il tutto, invece di comunicare la gioia di vivere in una società finalmente integrata e senza barriere, comunica un senso di rinuncia, abulia e stanchezza.
“So what”, come scrivono alcuni. E allora? Tutto potrebbe passare più o meno inosservato, se la foto non fosse accompagnata da un testo di tre pagine con la nuova visione del mondo che Benetton intende proporci, declamato in un video che ripropone quell’atmosfera allucinata.
Il problema è che nell’evidente desiderio di apparire alto e colto, il testo si rivela un pasticcio indigeribile, un’insalata russa di elementi eterogenei e opposti, tenuti insieme a fatica da una maionese a base di un sincretismo culturale talmente sgangherato da poter approdare all’unica promessa possibile: “una gioiosa con-fusione”.
Secondo il testo, questi poveri ragazzi ignudi dallo sguardo vuoto e spaesato sarebbero “nuove creature della Città Futura che neppure Giotto seppe pre-vedere e disegnare. Non più creature di città dolenti di macchine e di cemento, di acciaio e di polvere, qui ci sono nove pezzi, unici e tuttavia uguali, di un’umanità che presto inchioderà il vecchio mondo al suo odore scorante di materia in decomposizione e di roba smessa. Pupille di luce che brillano come in un arcobaleno, e pelli colorate che si mischiano, questi nove figli nostri sono frate Sole e sora Luna finalmente abbracciati e confusi: creature giovani di roccia fertile, di pietra morbida della quale ci si potrà finalmente fidare”.
Più la prosa si infiamma, più risulta evidente il contrasto con la foto. Che viene addirittura osannata in un delirio di autocelebrazione: “È la foto delle Metamorfosi che sono tipiche delle civiltà imperiali, della Roma degli Augusti come dell’America dei Presidenti, della Globalità dove ogni cosa passa in un’altra, si tramuta nel suo contrario. Davvero in quest’immagine c’è Michael Jackson che sbiancava il nero e c’è l’evoluzione dei Lumumba, dei Senghor e dei Frantz Fanon che annerivano il bianco, ma anche dei Lenin e dei Lin Piao, c’è la rivoluzione che diventa con-fusione perché toglie l’identità certa all’Oriente e all’Occidente e li con-fonde, c’è il pavone dello Zoroastrismo che assimila la Croce di Roma, il Ramadan che diventa banchetto pasquale, il latte di cammella che si tramuta in succo di vite, il burqa trasparente sul corpo di Venere, e c’è Fatima, figlia di Maometto, che prende le fattezze di Maria, madre di Cristo. Contro le guerre civili, contro le mafie e le violenze urbane dell’identità, contro i feroci conflitti etnici, contro le guerre di faglia e di religione, contro il terrorismo e contro tutti i razzismi risorgenti c’è la gioiosa con-fusione come valore, il Cantico delle Creature che avvicina al Cielo e sottomette il mondo”.
Ci hanno messo proprio dentro tutto, come nello stufato irlandese di Jerome K. Jerome, e figuriamoci se poteva mancare un elevato richiamo alla povertà del santo di cui papa Bergoglio ha voluto prendere il nome. Tra gli insulsi ingredienti ce n’è uno sommamente pericoloso: l’aspirazione a “togliere l’identità certa all’Oriente e all’Occidente” per sostituirle con la “gioiosa con-fusione”. Un insieme quindi non solo indigesto, ma alla fine potentemente distruttivo di ogni tradizione e ad un tempo ridicolo e persino grottesco.
Desta amareggiato stupore il fatto che un grande marchio italiano stia scadendo a tal punto nello strumentalizzare così malamente questioni importanti come l’integrazione, i conflitti etnici, le guerre civili per promuove le sue magliette (manca il riscaldamento globale, però…), e lo faccia senza alcuno sforzo di innovazione, e con un testo che se fosse stato presentato come proposta creativa da uno studente in un laboratorio di comunicazione, gli sarebbe stato innanzitutto consigliato di smettere di bere o di farsi visitare da uno bravo.
Per cui ci sono seri dubbi sull’ipotesi che dopo un simile sermone, folle di consumatori si precipitino a comprare un capo Benetton. Ma aspettiamo il responso del mercato, che – per grande fortuna dei due – oggi è fatto in gran parte di persone incapaci di leggere o ascoltare più di due righe di testo, figuriamoci le tre pagine di un simile delirante polpettone.