Si leggono spesso scandalizzate critiche per i litigi nel governo gialloverde, ma basta guardarsi intorno per accorgersi che non è una peculiarità italiana. Nemmeno nei toni. Si può tranquillamente iniziare da quella che rimane, malgrado tutto, la maggiore potenza mondiale: gli Stati Uniti. Qui al presidente non vengono rivolte solamente feroci critiche, ma Trump viene “tranquillamente” definito stupido, ignorante, mentitore, truffatore, insano di mente. Mi si potrebbe osservare che si tratta di critiche o improperi lanciati da parte di oppositori, non all’interno di una coalizione di governo, ma il presidente rappresenta il Paese nel suo insieme. Va aggiunto, per correttezza, che anche l’eloquio di The Donald non si contraddistingue per sobrietà.
Gli esempi di conflitti interni al governo comunque non mancano, a partire dalla Germania e dai contrasti tra Cdu e Csu. Certo, i toni sono più equilibrati, nella forma, ma quanto alla sostanza anche a Berlino non si scherza. Il governo di coalizione tra Cdu-Csu e Spd è il risultato del periodo più lungo di gestazione nella recente storia tedesca e il prodotto della necessità di evitare nuove elezioni. Non a caso, anche per questo ibrido governo – ben diverso dalle precedenti Grosse Koalitionen – si è parlato di “contratto”, parola che ha così sorpreso molti commentatori nostrani quando è stata usata dai gialloverdi. Ciò che colpisce è che i contrasti paiono più forti tra le due componenti democristiane che non nei confronti dei socialdemocratici.
I toni si stanno decisamente alzando anche nel Regno Unito. Qui le trattative con Bruxelles per l’uscita dall’Unione Europea stanno causando un vero cataclisma tra i Conservatori e nel governo. Theresa May, sostenitrice “moderata” del Remain, era arrivata alla carica di primo ministro proprio perché ritenuta capace di gestire Brexit tenendo insieme le due ali del Partito, quella Remainer e quella Brexiteer. Invece, la May è ora nell’occhio del ciclone, avversata sia dagli uni che dagli altri, e nell’ultimo anno un terzo dei membri del governo sono stati sostituiti. Alcuni ministri se ne sono andati di loro volontà, come David Davis, responsabile delle trattative con Bruxelles, e Boris Johnson, ministro degli Esteri, incarichi nevralgici nelle discussioni con l’Ue.
La posizione della May sull’accordo con Bruxelles viene contestata da più parti nel suo partito, ovviamente con motivazioni opposte a seconda dell’opinione su Brexit, ma sembrano comunque diffuse le perplessità sulla capacità del primo ministro di giungere a un buon accordo per l’UK. Né si prendono a scatola chiusa le sue dichiarazioni, tipo quella che il 95% dei problemi è stato risolto, e si chiede che venga a conferire con i parlamentari, ventilando un possibile voto di sfiducia.
La situazione è aggravata dalla richiesta, anch’essa in aumento, di un nuovo referendum e nei giorni scorsi si è tenuta una manifestazione in favore di una nuova consultazione cui hanno partecipato circa 700mila persone. Il problema sembra sentito soprattutto dai giovani, che temono di più gli effetti negativi dell’uscita dall’Ue. Si stanno poi sempre più evidenziando le differenze tra Londra, decisamente per il Remain, e il resto dell’Inghilterra: qualcuno sta avanzando l’ipotesi che, accanto alla possibile indipendenza della Scozia, ci possa essere anche quella di Londra. Un’ipotesi surreale, ma che indica quanto grave sia la questione, all’interno del governo e del Paese.
Un ultimo appunto sui toni del diverbio. Senza dubbio il linguaggio dei nostri gialloverdi è “ruspante”, ma che dire di frasi come: “Sta venendo il momento in cui il coltello viene arroventato, piantato e girato nella sua fronte. Lei sarà presto morta. L’assassinio è nell’aria”. Queste frasi, attribuite a un anonimo parlamentare conservatore, hanno ovviamente suscitato reazioni indignate anche tra i laburisti, ma fanno sembrare i nostri politici in fondo dei bonaccioni.