Proseguono le reazioni del mondo politico e non, alla condanna dell’Italia da parte della Corte dei diritti dell’Uomo, per via della detenzione del boss Bernardo Provenzano, ritenuta disumana dalla stessa Cedu. Sulla questione si è espresso anche il pubblico ministero Nino Di Matteo, il magistrato che ha condotto le indagini sulla morte del giudice Borsellino, fra i cui responsabili vi è proprio Provenzano: «Bernardo Provenzano è rimasto al 41-bis fino alla morte – racconta a Il Fatto Quotidiano il pm – ma ha ricevuto fino alla fine le migliori cure da parte degli specialisti degli ospedali civili in cui è stato ricoverato. Tra l’ altro, presso l’ ospedale San Paolo di Milano venne per lui approntato un reparto protetto dove rimase ricoverato dal 9 aprile 2014 sino al 13 luglio 2016». Di Matteo, aggiunge, spera che vengano bloccati sul nascere i tentativi di strumentalizzare questa vicenda, associando la morte di Provenzano al carcere duro. «L’impossibilità di avere contatti con soggetti diversi dai suoi familiari – precisa il pubblico ministero palermitano – non ha influito sull’efficacia delle cure, affidate ai migliori specialisti degli ospedali civili che le sue patologie richiedevano. Il regime di carcere duro in sostanza non ha inciso in alcun modo sull’evoluzione della malattia e sulla sua morte». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
INTERVIENE L’AVVOCATO
Tra i tanti commenti giunti post-denuncia della Corte Cedu all’Italia, quello dell’avvocato Rosalba Di Gregorio contro i ministri del Governo è ovviamente tra i più “polemici”: «Ma non c’è un’anima buona che possa spiegare al ministro Salvini qualcosina sulla Cedu e sui trattati internazionali? La Corte Europea non c’entra niente con quello che pensa lui della e sulla Unione Europea», spiega il legale del mafioso Bernardo Provenzano dopo le critiche rivolte dai Ministri degli Interni e della Giustizia, non prima di aggiungere «altro buon uomo vorrebbe spiegare al ministro Bonafede che la Cedu non ha condannato l’Italia per il regime di 41 bis? – conclude l’avvocato Di Gregorio- Capisco che il provvedimento è in inglese , ma ci sarà qualcuno che lo traduce, perbacco». L’associazione dei familiari delle vittime per la strage di Via dei Georgofili ha idee completamente diverse e si situa nella linea diversa dalla sorella di Giovanni Falcone: «Non siamo d’accordo purtroppo con le vedute di Maria Falcone che spezza una lancia in favore di Strasburgo, auspicando comunque che abbia ragione, e tanto meno con quelle del figlio di Provenzano. “Cosa Nostra” è una struttura piramidale, dai vertici partono ordini che durano per sempre e sono contro lo Stato di Diritto di noi tutti, questo Strasburgo crediamo non lo abbia capito. Provenzano è stato curato tanto gli doveva lo Stato, da lì a cancellare per lui sulla carta bollata una norma creando un precedente senza eguali ce ne corre, le leggi dello Stato non le può fare la mafia». (agg. di Niccolò Magnani)
IL FIGLIO: “VOGLIA DI VENDETTA A SCAPITO DEL DIRITTO”
Un’ondata di reazioni ha fatto seguito alla notizia relativa alla condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo all’Italia, rea di aver deciso di continuare ad applicare il regime del 41 bis a Bernardo Provenzano. Secondo i giudici, il nostro Paese negò diritti umani”. Al tempo stesso però la Corte di Strasburgo ha affermato che la decisione di continuare la detenzione di Provenzano non ha leso i suoi diritti. “Quella che abbiamo combattuto è stata una lotta per l’affermazione di un principio e cioè che applicare il carcere duro a chi non è più socialmente pericoloso si riduce ad una persecuzione”, ha commentato l’avvocato Rosalba Di Gregorio, difensore del capomafia. A commentare la decisione della Corte europea anche Angelo Provenzano, figlio di Bernardo, che come riferisce Telejato.it avrebbe asserito seccamente: “Se lo Stato risponde al sentimento di rancore delle persone, alla voglia di vendetta, lo fa a discapito del Diritto. Questo credo sia ciò che la Corte di Strasburgo ha affermato sul 41 bis applicato a mio padre dopo che era incapace di intendere e di volere”. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
DE RAHO “CEDU NON CONOSCE LE MAFIE”
Le polemiche si sprecano ancora sul caso-Provenzano, specie dopo le repliche di Salvini e Di Maio che hanno di nuovo “alzato” il livello dello scontro con l’Europa. Detto che la Corte dei Diritti dell’Uomo non è un organo Ue, bensì struttura a se stante, la condanna all’Italia arriva non tanto per il 41Bis bensì per il prolungamento del regime carcerario speciale. È comunque negativo il primo commento del Procuratore Nazionale Antimafia, Federico Cafiero de Raho, tra i più autorevoli in materia nel nostro Paese: «Evidentemente alla Corte europea di Strasburgo non è stata riportata la situazione italiana e non è stata fotografata la forza delle mafie e l’esigenza che i mafiosi non comunichino con l’esterno dei penitenziari». Va detto che però i giudici togati di Strasburgo (che non ha riconosciuto alcun danno da liquidare alla famiglia Provenzano, ndr) non hanno conferito menzione sul contenuto al carcere duro, bensì solo sul suo prolungamento. (agg. di Niccolò Magnani)
FAVA: “PRIVATO DEL DIRITTO DI MORIRE DIGNITOSAMENTE”
Una voce fuori dal coro di proteste levatosi dopo la sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito all’applicazione del 41-bis, il regime di carcere duro, dal 23 marzo 2016 alla morte del boss mafioso, quattro mesi dopo, è quella di Claudio Fava. Il Presidente della commissione regionale Antimafia della Sicilia, già vicepresidente Commissione parlamentare antimafia nella precedente legislatura, intervistato da InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei, ha dichiarato:”Credo che Provenzano sia stato privato del diritto di morire nella sua abitazione con la sua famiglia vicina, lui come altri. Se fosse dipeso da me nel momento in cui si avviava verso la fine dei suoi giorni, lui come Riina, avrei immaginato che potesse chiudere suo tempo sulla terra in modo più umano invece che in una stanza d’ospedale guardata a vista e blindata”. Secondo Fava, “il giorno in cui noi saremo in condizione di fare a meno del 41 bis sarà una vittoria non solo dal punto di vista dell’umanità della pena ma anche perché sarà una vittoria dal punto di vista della sicurezza. Lo Stato così facendo sarà in grado di garantire che i detenuti non possano avere in carcere un ruolo che avevano da liberi cioè quello di essere dei capi mafia”. (agg. di Dario D’Angelo)
LA REPLICA DI MARIA FALCONE
La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per il regime 41-bis nei confronti del boss Bernardo Provenzano, detenuto in condizioni disumane stando a quanto sostenuto dalla stessa Cedu. Moltissimi i politici che si sono espressi sulla questione, a cominciare dai tre ministri Salvini, Di Maio e Bonafede. Si è sentita forse tirata in causa anche Maria Falcone, la sorella del noto giudice anti-mafia ucciso durante la strage di Capaci, che ha commentato così la decisione della corte europea dei diritti dell’uomo: «La sentenza non mette in discussione il 41/bis che, impedendo ai boss di continuare a comandare anche dal carcere e spezzando il legame dei capi mafia col territorio, è stato e rimane uno strumento irrinunciabile nella lotta alla mafia». Secondo la Falcone, sta ai magistrati valutare di caso in caso fino a quando bisogna mantenere il “carcere duro”, che ribadisce «è il modo più efficace per impedire ai capi di Cosa Nostra di perseguire i loro scopi criminali anche dopo l’arresto». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
IL COMMENTO DEL M5S
Movimento 5 Stelle compatto dopo la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per il rinnovo del 41 bis a Bernardo Provenzano, ritenuto “inumano” in riferimento alle condizioni di salute del boss mafioso. Fabio Massimo Castaldo ha sottolineato: “Davanti a una decisione così assurda della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a uno schiaffo così forte ai familiari delle vittime e al nostro Paese, posso solo citare i nostri antenati: “summum ius summa iniuria”. Il #41bis per mafiosi come #Provenzano #nonsitocca!”. Questo il tweet della portavoce pentastellata all’Europarlamento Isabella Adinolfi: “Il #41bis non si tocca! Italia condannata per aver applicato il regime carcerario del 41bis a #Provenzano. La Corte europea dei diritti umani forse non sa che il 41bis è fondamentale per la lotta alla mafia. #25ottobre”. Infine, il commento del capogruppo alla Camera Francesco D’Uva: “Il 41bis non si tocca! L’Italia va premiata se difende i cittadini e combatte la #mafia, non condannata. Ma poi chi ci condanna? Siamo l’unico Paese che si è dotato di strumenti efficaci per combattere veramente la mafia. È tutto assurdo!”. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
BONAFEDE: “41 BIS NON SI TOCCA”
Sulla condanna dell’Italia da parte della Corte Europea di Strasburgo, per via del carcere del padrino Bernardo Provenzano, ritenuto troppo duro, è intervenuto il ministro della giustizia, Alfonso Bonafede. Il Guardasigilli, a margine della presentazione del disegno di legge contro la violenza sulle donne, alla presenza di Michelle Hunzicker e della ministra Bongiorno, ha parlato così ai microfoni de Il Fatto Quotidiano: «Rispetto questa sentenza ma non la commento, voglio semplicemente sottolineare che il 41 bis non si tocca, questo è il punto». Bonafede ci tiene poi a precisare una cosa: «Su questo c’è una lunga storia di confronto con l’Europa con cui siamo disposti a confrontarci. Ma dobbiamo dire una cosa evidente: tutto il mondo, non solo l’Europa, ha solo da imparare dall’Italia in termini di normativa antimafia. Abbiamo le leggi più all’avanguardia che hanno dato i migliori risultati, quindi non entro nel commento della singola sentenza ma sia chiaro – ribadisce il ministro – che il 41 bis non si tocca». Il 41 bis è il cosiddetto “carcere duro”, di solito applicato nei confronti di coloro che hanno commesso gravi reati e che prevede pesanti limitazioni per i carcerati soprattutto in termini di ore d’aria e di colloqui con i famigliari. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
LA REPLICA DI DI MAIO
Le prime reazioni dall’Italia sulla condanna ricevuta non potevano che arrivare da chi gli organi Ue (o affini, visto che la CEDU non fa parte dell’Unione Europea) li vede sempre più come nemici da cui distanziarsi: Di Maio su Facebook scrive «Ma scherziamo? Non sanno di cosa parlano! I comportamenti inumani erano quelli di Provenzano. Il 41bis è stato ed è uno strumento fondamentale per debellare la mafia e non si tocca. Con la mafia nessuna pietà». Forse ancora più duro il collega vicepremier Matteo Salvini che da Twitter tuona contro Strasburgo e la decisione su Bernardo Provenzano: «La Corte Europea di Strasburgo ha condannato l’Italia perché tenne in galera col carcere duro il signor Provenzano, condannato a 20 ergastoli per decine di omicidi, fino alla sua morte. Ennesima dimostrazione – conclude il Ministro degli Interni – dell’inutilità di questo ennesimo baraccone europeo. Per l’Italia decidono gli Italiani, non altri». (agg. di Niccolò Magnani)
I MOTIVI DELLA CONDANNA CEDU
L’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo perché decise di continuare ad applicare il 41bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo 2016 alla morte del boss mafioso, quattro mesi dopo. I giudici di Strasburgo ritengono che il ministero della Giustizia italiano con la conferma del regime duro carcerario abbia violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quindi il diritto di Provenzano a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Inoltre, la Corte di Strasburgo ha affermato che la decisione di continuare la detenzione del boss mafioso non ha leso i suoi diritti. La Corte di Strasburgo aveva avviato l’esame del ricorso, presentato dalla famiglia di Provenzano nel 2013, proprio nei giorni della sua morte. Provenzano si era lamentato delle cure mediche inadeguate in prigione e della continuazione dello speciale regime di detenzione, a dispetto delle sue condizioni di salute. Nel 2013, però, la Corte di Strasburgo ha respinto la richiesta dell’avvocato di Provenzano, Rosalba Di Gregorio, di esigere dal governo italiano l’immediata scarcerazione del boss.
PROVENZANO, ITALIA CONDANNATA PER CONFERMA 41 BIS
Bernardo Provenzano morì il 13 luglio 2016 mentre era detenuto al regime di 41 bis nell’ospedale San Paolo di Milano. La morte arrivò dopo un lungo periodo di malattia e numerose polemiche sulle sue condizioni di detenzione. I medici gli avevano diagnosticato un grave stato di decadimento cognitivo, lunghi periodi di sonno, rare parole di senso compito, eloquio assolutamente incomprensibile, quadro neurologico in progressivo, seppur lento, peggioramento. Nelle loro conclusioni, i medici dichiararono il paziente «incompatibile con il regime carcerario», spiegando che «l’assistenza che gli serve è garantita solo in una struttura sanitaria di lungodegenza». Per anni l’avvocato del boss mafioso, Rosalba Di Gregorio, ha chiesto senza successo la revoca del regime carcerario duro e la sospensione dell’esecuzione della pena per Provenzano, proprio in virtù delle sue condizioni di salute. Inoltre, negli anni precedenti alla morte presentò due istanze di revoca del carcere duro e tre di sospensione dell’esecuzione della pena, ma tutte furono respinte.