La domanda di oggi, dopo le parole di Draghi, quelle di Moscovici e le rispostacce del Governo italiano, è chi abbia ragione tra “Europa” e “Italia”. Per provare a rispondere citiamo alcune dichiarazioni rilasciate ieri da Romano Prodi: l’Unione si trova in una “situazione di assoluta debolezza di fronte alle trasformazioni del mondo. C’è un detto che dice ‘chi pecora si fa, il lupo se lo mangia’”; ancora: “L’Europa non può essere l’anello passivo, il pungiball delle tensioni e dell’economia politica mondiale. Ci troviamo a discutere di uno scenario che va verso un ulteriore affinamento delle sanzioni. Si tratta di un’involuzione dell’economia internazionale che sta fortemente cambiando lo schema del commercio”. Da ultimo: “Mentre la Russia cerca di compensare con la Cina, l’Europa si trova in un crescente isolamento economico derivante da una continua tensione politica”. Infine, il professore segnala la divisione tra Francia e Germania e come questi due Paesi abbiano, rispettivamente, il “monopolio della politica estera” e “della politica economica” dell’Unione europea.
Facciamo finta che oggi in Italia avessimo un Governo iper-europeista, un Governo Monti o una sua riedizione in versione “Cottarelli”, e che questo Governo aderisse perfettamente alle indicazioni dell’Unione europea in tema di deficit e, per la cronaca, decidesse l’aumento dell’Iva. In questo scenario non “andrebbe tutto bene” non solo per l’Italia ma per l’Europa come continente e come istituzione. La politica economica dell’Unione europea, “l’austerity”, il rifiuto di meccanismi di redistribuzione se non dopo la cessione di sovranità dalla periferia al centro e le regole con cui si impone il rispetto di parametri rigidi e politiche restrittive ai Paesi “indebitati” in fase di recessione stanno determinando la morte dell’Europa. Chi non investe, chi non sa immaginare politiche di investimento a lungo termine finisce nel menù di quelli che quegli investimenti e quelle politiche continuano a farle anche e soprattutto quando le cose vanno male.
Un’Europa che non investe, che non immagina politiche di lungo respiro ed è vittima di un dominio, quello franco-tedesco, che vede l’Europa come strumento diventa una preda da dividersi a pezzi. La scelta di dipendere dalle esportazioni, sposando austerity e deflazione che si impone in via più o meno cruenta a seconda che si sia vicini al centro franco-tedesco, ha messo l’Europa in una condizione di debolezza e ricattabilità evidente. La ribellione ciclica della periferia a cui non arrivano i benefici di una politica economica fondata sulle esportazioni, perché il surplus non viene redistribuito, dà al centro franco-tedesco vittorie tattiche ma strategicamente indebolisce l’Europa come si vede in questi mesi; la ribellione della periferia, capitanata dal Paese che più ha perso (con molti demeriti) dal processo di integrazione europea, è un grimaldello che può essere usato da chi vede l’Europa come un grande mercato in cui vendere i propri prodotti e un avversario in meno nello scacchiere internazionale.
L’Italia ha ragione quando contesta l’austerity che nel resto del mondo è letteralmente incomprensibile e anche quando contesta l’asimmetria del processo di integrazione europea. L’austerity serve per continuare a dare la possibilità alla Germania di esportare con una valuta che è la metà di quella che si meriterebbe “rubando” il surplus commerciale al resto dell’Unione e alla Francia di fare acquisti e monopolizzare tutto il peso geopolitico che l’Europa potrebbe avere; si pensi alla Libia. Ma così l’Europa muore. Non è l’Italia che muore di austerity, ma tutta l’Europa e soprattutto l’Unione europea che oggi non è altro che un oggetto da spartirsi.
L’Italia sbaglia perché pone una questione giustissima, l’assurdità dell’austerity e gli squilibri politici all’interno dell’Unione oltre che i suoi difetti di costruzione, presentando una manovra che ignora quasi completamente il capitolo investimenti, oltre che qualsiasi “spending review” e contiene strumenti, il reddito di cittadinanza, che la burocrazia italiana molto probabilmente oggi non saprebbe gestire. L’Unione europea dovrebbe avere la lucidità di contestare il contenuto, non il numero del deficit che oltretutto non devia nemmeno in modo significativo.
Se l’Europa è l’istituzione dell’austerity come unica politica economica, del piano di 300 miliardi di investimenti di Juncker che finisce nel dimenticatoio un’ora dopo il suo annuncio e della spoliazione della, colpevolissima, Grecia per ripagare gli investimenti sbagliati delle banche francesi e tedesche, allora si merita di finire. Ci rendiamo conto che se la prospettiva è sempre stata che l’Europa andava bene solo se permetteva un beneficio diretto ed esclusivo per un certo Paese allora questa discussione è assurda. Se chi oggi controlla l’Europa non vuole intavolare una trattativa e cambiare una politica perdente perché al progetto non si è mai creduto e perché quel progetto andava bene solo come mezzo, allora meglio sedersi e separarsi “civilmente” senza ulteriori traumi. Lo scenario migliore è un’Europa che funziona e senza gli squilibri che abbiamo imparato a conoscere; ma se questo scenario nella realtà non esiste allora bisogna avere la lucidità di cambiare percorso.
L’incomunicabilità tra Governo italiano e Commissione europea con colpe da entrambe le parti non promette bene. Non aiuta nemmeno il dibattito in Italia ancora dominato da una difesa acritica “dell’Europa” e della “austerity” in una fase in cui perfino politici come Prodi segnalano il tramonto dell’Europa come tale insieme a quello italiano.