Parafrasando Quentin Tarantino in Pulp Fiction, il secondo film da regista di Drew Goddard potremmo chiamarlo “El Royale con formaggio”. Perché 7 sconosciuti a El Royale richiama direttamente l’ispirazione al regista di Knoxville, vi guarda sfacciatamente per realizzare un film che gioca tra codici di genere e allegoria storica.
I 7 sconosciuti del titolo italiano (in originale si parla di brutti momenti, bad times) sono i personaggi che si ritrovano nel misterioso albergo al confine tra California e Nevada, ognuno con un proprio mistero e ognuno quindi con una propria declinazione del genere thriller, che si scontreranno nel gran finale grazie all’arrivo del gran cattivo.
Evidentemente Goddard, anche sceneggiatore e produttore, ha un’ossessione per alberghi o baite piene di scompartimenti, camere segrete e dispositivi di ripresa e controllo, così come ha una tendenza classificatoria nel trattare i generi: si può dire in un certo senso che 7 sconosciuti a El Royale faccia con il noir ciò che Quella casa nel bosco faceva con l’horror. Ovvero lo studia, lo seziona, lo scompone e ricompone, lo analizza, come a volerne fare una sorta di guida al genere, e quindi dal suo podio di autore dandogli la possibilità di giocare con ognuno dei suoi filoni ed esempi.
Il film di rapina e la caccia al tesoro, il thriller cospirativo e la fuga dal passato fino al gran finale vicino all’orrore e al grand guignol: il tutto su un impianto sfacciatamente tarantiniano – la scenografia teatrale, la divisione in capitoli, le canzoni d’epoca, la patina vintage, i lunghi dialoghi e le numerose digressioni alternate a scoppi di violenza improvvisa e incongrua, persino una sorta di Charles Manson (ovvero il centro del prossimo film di Tarantino) tra gli “hateful seven”.
Ma Goddard, proprio per echeggiare il maestro, mentre enumera i tipi di noir e ne elenca le variazioni, traccia un superficiale affresco storico, perché si scrive El Royale ma si legge Watergate, tra i “mostri” dell’albergo si ritrovano Nixon, Kennedy e appunto la famiglia Manson, e come il geniale Quentin si riserva il lusso di riscriverla e reinventarla, di farla confluire proprio al centro dell’America, al confine tra due mondi.
Di Tarantino e dello stesso Goddard però restano solo i meccanismi, senza tensione, senza grazia, senza senso del divertimento o dello spettacolo, se non isolato in alcune belle sequenze. 7 sconosciuti a El Royale è una serie di ingranaggi che isolati sono bel cinema, ma che non si coordinano quasi mai, che restano frammenti incapaci di essere un vero affresco sul genere o sull’America. Quello di Goddard è un oggetto ottimo per l’analisi, quindi, più che un ottimo film.