La Spagna è diventata un chiaro esempio di un Paese in cui le élites politiche e mediatiche hanno costruito, artificialmente, un’agenda polarizzata. Tale agenda mira a colonizzare, persino subconsciamente, il mondo della vita sociale che percorre strade più tranquille. Si crea l’illusione che gli spagnoli si stiano affrontando con posizioni inconciliabili e si tende a dare poco peso alle esperienze di bene comune. L’immagine è quella di un’espansione verso gli estremi, mentre la vita reale scorre nel mezzo. Ci sono ragioni congiunturali che incoraggiano la polarizzazione. Ma siamo anche vittime di un’immagine della democrazia ridotta alla legge e alle sue istituzioni: non si percepisce la reciproca dipendenza propria della vita in comune.
Indubbiamente la più grande fonte di polarizzazione è il Governo dei socialisti, appoggiato da una minoranza sempre più ridotta di deputati e che deve cercare sostegno in molte formazioni minoritarie. Il Psoe, un partito che per la stragrande maggioranza dei suoi elettori è di centro (soprattutto in Andalusia) o di centrosinistra, da quando si è impegnato a governare ha permanentemente bisogno di fare concessioni (la maggior parte simboliche) a partiti che puntano alla secessione della Catalogna o a Podemos (populismo di sinistra). L’obiettivo è resistere al governo per recuperare il sostegno elettorale.
I socialisti non hanno il sostegno necessario per attuare le riforme importanti (istruzione, competitività, mercato del lavoro, pensioni, demografia, ecc.). Per questo si dedicano a temi ad alta tensione ideologica (Franco e la memoria storica) o a ciò che è era rimasto in sospeso nei cosiddetti nuovi diritti (eutanasia). Un partito con elettori di centro o di centro-sinistra, tradizionalmente difensore dell’unità della Spagna, per opportunismo si muove verso posizioni secessioniste o della sinistra radicale. Sánchez non riesce a riacquistare equilibrio dopo essersi messo in una posizione instabile.
Nell’opposizione, anche il centrodestra del Pp e il centro liberale di Ciudadanos si agitano troppo, allontanandosi dalla sensibilità della maggioranza delle loro basi. Il nuovo leader del Pp, Pablo Casado, deve competere con il Governo, con l’avanzata di Ciudadanos e con l’eredità tecnocratica del suo predecessore Rajoy. Troppi fronti contemporaneamente. Punta quindi su un nuovo intervento in Catalogna per sospendere il Governo autonomo, accusa Sánchez di golpismo e sottolinea che la politica economica porta il Paese al disastro.
L’economia e il modo di affrontare la situazione in Catalogna, quando tutte le iperboli vengono chiarite, mostrano fino a che punto i due partiti maggioritari si comportino in un modo molto più simile di quanto sembri.
Il Governo di Sánchez ha concordato un piano di bilancio con Podemos che prevede un notevole aumento delle spese. Una parte importante delle quali è incentrata sulle politiche sociali e sulla rivalutazione delle pensioni. Il messaggio che si vuole dare è che, dopo anni di tagli per la crisi, è arrivato il momento di allargare i cordoni della borsa. Tale politica economica ha molti punti deboli: mette a rischio la sostenibilità del sistema pensionistico, costringe a far salire le tasse quando la crescita economica inizierà a rallentare (ancora è superiore al 2%) e non attua le riforme importanti. Tuttavia in molti aspetti coincide con la politica espansiva approvata da Rajoy per il 2018 prima che venisse costretto a lasciare il Governo. Lo stesso Rajoy aveva già modificato la sua riforma delle pensioni.
Anche in Catalogna le differenze tra il Pp e il Psoe sembrano abissali, ma non lo sono. È vero che i socialisti hanno cercato il sostegno degli indipendentisti. I partiti secessionisti si agitano tanto, ma per il momento, di fatto, si muovono all’interno della legge. Un anno dopo la proclamazione dell’indipendenza, pochi mesi dopo il processo contro coloro che l’hanno promossa, nessuno vuole fare un passo oltre il quadro costituzionale. Soprattutto l’Erc è interessata ad abbandonare qualsiasi progetto unilaterale. Il Governo dei socialisti, come il Pp, esplora qualche forma di accordo con gli indipendentisti che sono disposti a rinunciare alle posizioni massimaliste. Per il Governo del Psoe, come per il Pp se fosse ancora al potere, una sentenza eccessivamente dura sarebbe un ostacolo ai propri piani. Perché a Madrid e Barcellona c’è un’immensa maggioranza che è già avanti: alcuni riconoscono che l’indipendenza non è possibile, gli altri sanno che occorre offrire una via d’uscita quando metà della popolazione catalana vuole rompere.
Il rumore, spesso imposto, non consente di ascoltare il mondo della vita reale. I confini ideologici interni sono più irrilevanti di quanto sembri. Manca immaginazione, ci sono troppi interessi perché emerga la vita condivisa.