Sarà un caso, la solita insensata concomitanza o perfino una maliziosa accozzaglia di fortuiti eventi. Sarà, ma quanto accaduto sul finire della scorsa settimana merita riguardo.
Che l’attenzione della Casa Bianca sul Gasdotto Trans-Adriatico (Tap) fosse alquanto elevata lo aveva dimostrato, apertamente e senza giri di parole — come è nel suo stile — il presidente Trump lo scorso luglio durante la visita ufficiale del premier Conte negli Usa, quando chiese ufficialmente all’Italia di operare per dare seguito al progetto Tap. E che, parimenti, la situazione economica del Bel Paese rivesta una preoccupazione anche per lo staff presidenziale a stelle e strisce lo dimostrano le rassicurazioni (quasi un’assicurazione sulla vita) che lo stesso presidente Trump non aveva fatto mancare all’Italia, al suo Governo “euroscettico” e ai suoi principali azionisti politici nei giorni dell’assalto speculativo.
Un’attenzione che non si registrava, in questi arcigni termini, dal primo dopoguerra e dalla quale traspariva, neppure troppo velatamente, la netta volontà degli Usa di offrire un sostegno forte, seppur indiretto, all’azione economica del governo. E, come se tutto fosse scritto in un preciso copione, nel volgere di qualche ora, tra la notte di giovedì e il giorno 26 ottobre tutto è accaduto: l’americana Standard & Poor’s, autorevolissima società di rating, ha lasciato invariato il giudizio sull’Italia, ipotizzando solo qualche eventuale nube sul futuro, ridando una grande boccata d’ossigeno per i mercati e le finanze italiche. Così, qualche ora più tardi, si è materializzato, per bocca dello stesso premier Conte, il via libera al Tap.
Coincidenze? Forse. O forse no. Roma non poteva fare altrimenti. In ballo c’era e (dopo i tumulti di piazza) rimane la credibilità, l’affidabilità, l’asse con Washington. Il Tap, comprendano i cittadini di Melendugno, è questione di realpolitik.
Sul tavolo del Governo, assieme alla manovra, vi è un più scottante e strategico dossier: la conferenza sulla Libia e sulla stabilità del Mediterraneo, in programma a Palermo il 12 e 13 novembre. Un appuntamento nel quale l’Italia si gioca moltissimo.
E la preannunciata assenza del presidente Trump come del suo vice, che potrebbe essere letta come una sconfessione dell’iniziativa italiana, deve essere — in tutti i modi — scongiurata. Quindi recuperare è d’obbligo, anche se ciò significa accettare, seppur a malincuore, il controverso gasdotto.
In politica tutto si tiene. Vincere la sfida di Palermo per l’Italia significherebbe avere maggiore voce anche sul fronte continentale e poter contrattare — da pari a pari — con la Commissione europea scelte economiche altrimenti improbabili.
Macron, Merkel e il primo ministro russo (se non Putin stesso) a Palermo ci saranno. Per un’autorevole, qualificata e credibile presenza Usa (indispensabile all’esito positivo della conferenza) saranno decisive le prossime settimane.
E il “sì” convinto del Governo al Tap potrà rivelarsi, c’è da scommetterci, mossa assai utile.