Piano piano, con il passo felpato di un ladro, il disegno di Legge di bilancio esce dalle tenebre e si appresta all’appuntamento con le Camere. Anche in zona Cesarini non sono mancate le comiche finali. Luigi Di Maio ha lamentato la mancata cancellazione di un comma sul rientro dei capitali dall’estero, attribuendola a un errore o a una dimenticanza nella redazione del testo (che gelida manina! ndr). I partner della Lega gli hanno risposto che sono possibili emendamenti correttivi. E tutti – pro bono pacis – si sono accontentati di questa spiegazione, in verità paradossale. Perché se davvero si tratta di un refuso, non si vede perché non lo si possa eliminare mentre l’articolato è ancora in bozza. Se invece la norma incriminata è destinata ad arrivare fino al testo del disegno di legge nella sua versione conclusiva (tanto da richiedere un emendamento formale per la sua modifica), non ci può essere che un solo motivo: nella maggioranza rimane un dissenso importante in tema di condono (pardon, pace) fiscale e Di Maio – non sarebbe la prima volta – ha mentito ai militanti nel suo intervento al Circo Massimo. Al punto di essere costretto ad avallare adesso una versione (l’errore) che non sta in piedi.
Nel frattempo, continuano i boatos sulle pensioni. Per realizzare gli obiettivi di (contro)riforma dovrebbe essere costituito presso il ministero del Lavoro un “Fondo per la revisione del sistema pensionistico attraverso l’introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l’assunzione di lavoratori giovani”, con una dotazione pari a 6,7 miliardi di euro per l’anno 2019 e di 7 miliardi di euro annui a decorrere dal 2020). E le “quote” salvifiche che fine farebbero? La loro attuazione sarebbe affidata ad appositi provvedimenti normativi, nei limiti delle risorse previste, che costituirebbero il relativo tetto di spesa. In sostanza, un rinvio a eventuale “collegato” o a un successivo disegno di legge.
Per adesso, nell’ultima bozza circolante della manovra, la pagina delle pensioni, a parte gli stanziamenti ricordati, è ancora bianca. Qualcuno, magari, ricorderà le smargiassate di Matteo Salvini che, da anni, ha fatto campagna elettorale promettendo che, con lui al governo, la riforma Fornero sarebbe stata abrogata in pochi minuti in occasione della prima riunione del Consiglio dei ministri. Intanto – a stare ad alcune indiscrezioni di stampa – per castigare le pensioni d’oro sembrerebbe prevalere l’ipotesi di un robusto contributo di solidarietà. Le due ipotesi circolanti sono state riassunte dal Messaggero di ieri.
Ipotesi A) Taglio sul totale pensionistico per gli assegni over 90.000 euro: 8% del totale per la fascia 90.000-129.999; 12% del totale per la fascia 130.000-189.999; 14% del totale per la fascia 190.000-349.999; 16% del totale per la fascia oltre 350.000.
Ipotesi B) Taglio sulla quota over 90.000 euro: 10% per la fascia 90.000-129.999, 14% per la fascia 130.000-199.999, 16% per la fascia 200.000-349.999, 18% per la fascia 350.000-499.999, 20% per la fascia da 500.000 e oltre.
Il contributo resterebbe in vigore per cinque anni. Come è facile immaginare ci sarebbero dei ricorsi destinati ad arrivare alla Consulta, la quale si era pronunciata, con la sentenza n. 173 del 2016, sulla legittimità del prelievo di solidarietà purché rispettoso dei seguenti criteri: “In definitiva, il contributo di solidarietà, per superare lo scrutinio ‘stretto’ di costituzionalità, e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum”. Con riferimento a tali indicazioni, alla fine del 2016, il Governo in carica non aveva prorogato, alla sua scadenza, l’intervento (2014-2016) negli anni successivi.
In che modo reagirebbe la Corte nel caso di una riedizione ravvicinata di un ulteriore contributo con una durata più lunga del consueto? Se dovessi fare una previsione propenderei per una sentenza favorevole. I “giudici delle leggi” sono uomini di mondo e sono consapevoli delle motivazioni con le quali sarebbe assunto un provvedimento di siffatta natura: certamente non per fare cassa (molto meglio a tal fine la proposta di Alberto Brambilla) perché le entrate sarebbero comunque modeste. Ma qualche soddisfazione a un’opinione pubblica sobillata bisognerà pure darla.