Credo che sia nella natura delle cose, anche se attraverso un’osservazione distratta di quello che accade nel susseguirsi degli eventi climatici, come ad esempio il maltempo che sta flagellando il Veneto, chiedersi che cosa stia succedendo.
Ovviamente nessuno è in grado di offrire una spiegazione esaustiva sulla complessità delle relazioni tra nubifragi, trombe d’aria, bombe d’acqua e l’inutile barriera degli argini dei fiumi.
Ogni volta, oltre ai danni piuttosto pesanti, constatabili nelle aree rurali ed in quelle urbane per l’irruenza delle acque, rimangono dei morti: gente che non ha saputo valutare il pericolo? Deceduti a causa di imprevisti? Oppure uomini e donne che non sono stati adeguatamente informati e protetti a causa dell’incuria di chi doveva occuparsi del territorio?
Qui non compete una valutazione delle colpe, ma, più opportunamente, occorrono delle osservazioni di fondo. La prima è la più semplice, quella che è nota a chiunque sia in grado di leggere i giornali o di guardare la televisione: esistono i cambiamenti climatici. Le Nazioni Unite lo hanno annunciato formalmente attraverso la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Conferenza di Rio de Janeiro 1992 e Protocollo di Kyoto del 1997), nella quale si rileva una possibile e quanto mai realistica variazione del clima sul pianeta a causa dell’effetto serra antropogenico, provocato cioè dal permanere dei valori di radianza in atmosfera, a causa della presenza dei gas serra, generati appunto, dalle attività umane.
Intorno a quanto sostenuto in ambiente Onu esistono alcune divergenze, soprattutto riguardo alle cause: gli astrofisici, infatti, ritengono più attendibile la comprensione delle variazioni del clima attraverso l’esame di esplosioni nella corona solare; ma persino Papa Francesco nella Laudato si’ al n. 161 concorda con l’ipotesi catastrofista. D’altronde gli eventi meteorici di questi ultimi anni, come di questi giorni, attestano avvenimenti inusuali e di particolare rilevanza per la forza distruttiva di interi paesaggi, di ambienti urbani, di mezzi e di persone.
La seconda osservazione riguarda l’effetto dei cambiamenti climatici sul suolo a seguito di eventi meteorici straordinari. Le immagini che, di volta in volta vediamo scorrere sui teleschermi, ci rendono consapevoli che:
a) esiste una velocità di scorrimento delle masse d’acqua direttamente proporzionale all’acclività dei versanti del bacino imbrifero di appartenenza. In ambito scientifico è possibile costruire dei modelli matematici che consentano di prevedere l’ampiezza delle superfici che, nel caso di eventi particolarmente significativi, saranno interessate dallo scorrimento delle acque, compresa la loro volumetria.
b) Oltre alla velocità, deve essere considerata la quantità di materiali in sospensione o di ciottoli o massi di diverse dimensioni, che incrementa in misura più o meno importante la forza distruttiva di tutto ciò che incontra lungo il suo percorso. Avviene perciò un’azione di dilavamento che, a seconda della velocità del flusso e dell’azione di penetrazione nel terreno, comporta un’asportazione della sostanza organica presente nel suolo, se non addirittura lo scalzamento della parte corticale del terreno e, di conseguenza, l’impoverimento delle proprietà riproduttive del suolo stesso. Questo ulteriore fattore, quindi, va aggiunto alla complessità delle fenomenologie derivanti da un sistema climatico alterato dalle cause espresse più sopra. Ancora, si osserva una eliminazione di tutte le forme di vita di microfauna presenti lungo il percorso e si può affermare, pertanto, che l’intensità di eventi meteo anomali rispetto alle conoscenze pregresse genera processi di desertificazione, ancora poco conosciuti alle nostre latitudini.
c) Alla fine, dunque, ci si può domandare: che cosa succede nel suolo dopo l’evento calamitoso da cui è stato percorso? Man mano che il flusso decresce ed inizia a manifestarsi un processo di stagnazione delle acque residue e di deposito di fanghi, il terreno, a seconda della sua tessitura e struttura — argilla, limo, sabbia, conglomerati, ecc. — inizia ad assorbire lentamente le acque residue, che, penetrando nelle fessurazioni, percola fino ad incontrare strati di terreno impermeabile. Così accade che la struttura fisica di questi suoli, oltre ad essere stata impoverita di sostanza organica e devastata dalla velocità di scorrimento dei corsi d’acqua, assume la proprietà di essere estremamente fragile in quanto tessitura, tanto che, se uno desiderasse percorrere quelle superfici, sprofonderebbe facilmente. Tanto più vasta è la superficie di un territorio percorso da processi di dilavamento delle acque, altrettanto ampia è la situazione di fragilità riscontrabile sotto il profilo pedologico, che in quello delle dinamiche evolutive dello sviluppo rurale.
Ovviamente, queste osservazioni hanno l’unico scopo di divulgare in termini semplici quello che sta accadendo sul suolo italiano e non solo. Si tratta di alcuni movimenti meccanici e plastici che trasformano le modalità di fruizione di un suolo e ne alterano le sue funzionalità.
Qualora dovessero rinnovarsi episodi calamitosi a breve periodo, la consistenza stessa del terreno sarebbe sottoposta a forme di stress particolarmente gravi come l’instabilità dei versanti ed un susseguirsi di eventi franosi di diversa intensità a seconda della composizione pedologica del suolo stesso.
Infine rimane la domanda: che fare per proteggere i suoli?
Come sempre sono le opere di ingegneria idraulica, unitamente all’attività degli stakeholders che operano direttamente sul territorio a declinare le tecniche e le modalità di sistemazione idraulica del terreno stesso. E’ un concorso di forze e di interventi tecnici e scientifici, insieme a finanziamenti di notevole portata ad esprimere l’obiettivo da raggiungere: la difesa del suolo. Si teme che sul versante politico, che in sede legislativa non ha mai considerato adeguatamente i costi dell’incuria e dei disastri ambientali, manchi una conoscenza dell’andamento dei cambiamenti climatici e delle sue conseguenze.