Il terremoto della Chiesa in Cile

In Cile non si parla che dello scandalo degli abusi. La fiducia nella Chiesa crolla, ma anche la vita sociale e politica non è contraddistinta dall'armonia

Sto scrivendo in un caffè a pochi metri dalla chiesa di San Francesco, la più antica dell’era coloniale (XVI secolo) ancora in piedi nel centro di Santiago del Cile. La città ha subito diversi terremoti. Il chiostro dei francescani, trasformato in un museo, conserva incantevoli tesori di un barocco nato dalla sintesi tra il cattolicesimo arrivato dalla Spagna e la cultura del Paese. La sintesi corre il rischio di diventare un pezzo da collezione. Ore prima, qui vicino, c’è stato un grande raduno di evangelici. Sui grandi schermi installati per l’occasione si sentivano predicatori parlare di Dio tra l’entusiasmo dei presenti, un Dio senza cultura e senza storia.

Sul tavolino c’è il giornale El Mercurio. Nelle sue pagine l’alta attività sismica che scuote la vita sociale, politica ed ecclesiale. In copertina un personaggio noto chiede che questa Chiesa muoia. In questo momento in Cile non c’è alcuna conversazione pubblica o privata che non faccia riferimento agli abusi. La Procura indaga su oltre 100 casi che coinvolgono leader ecclesiali e il Papa ha ridotto due vescovi allo stato laicale. Lo tsunami si è portato via il prestigio di alcuni sacerdoti che erano stati protagonisti della lotta per la libertà negli anni duri della dittatura. Lo hanno fatto attraverso la famosa Vicaria de la Solidaridad. Il patrimonio del compromesso etico è caduto come un edificio che crolla quando si verifica uno scontro di placche tettoniche. Il Cile in questo momento è il Paese più secolarizzato dell’America Latina, la fiducia nella Chiesa cattolica è al 36%, mentre la media nella regione raggiunge il 65%.

Anche nella vita sociale il terreno non è fermo. Uno degli editorialisti del Mercurio è sorpreso dalla violenza presente nelle scuole, dalle percosse date da alcuni studenti a una guardia. E sottolinea con acutezza che si tratta di una trappola, una falsa dicotomia quella che sembra vivere il Paese tra coloro che chiedono un inasprimento della legge e coloro che vogliono capire le origini di questo comportamento. Dibattiti molto europei nel Paese più europeo dell’America Latina.

Si allarga il Cile del malcontento e della polarizzazione quando l’economia cresce del 4%, con un indice mondiale di fragilità pari a 41, 2, simile a quello della Spagna, migliore di quello dell’Italia, e con il più basso livello di corruzione della regione. Il ritorno al potere di Piñera non ha soddisfatto i suoi elettori che si lamentano della fatto che l’ultima Bachelet ha abbandonato il sentiero della concertazione per diventare radicale. Le sue riforme sarebbero un’eredità avvelenata che Piñera non riesce a disattivare. Accuse di alcuni a sinistra, accuse di altri (la destra più estrema) a Piñera per non essere abbastanza forte e troppo di centro. A volte si ha la sensazione che il Cile della concertazione, quello che ha governato dopo la dittatura, quello che ha saputo muoversi tra un centro-destra e un centro-sinistra molto vicini, sia scomparso.

Lo spostamento della placca sudamericana è così intenso che alcune soluzioni sono insufficienti per ricostruire ciò che è stato demolito. Per alcuni, il problema degli abusi potrebbe essere risolto con maggiore trasparenza, con una modifica dei protocolli, con maggiore capacità comunicativa, con una strategia difensiva più precisa di fronte all’offensiva laicista. Naturalmente, sono necessari nuovi codici e nuovi modi di fare le cose, ma è un’illusione pensare che dopo essere stati protagonisti di una storia così sporca e ingiustificabile ci sia una soluzione che possa restituire, immediatamente o nel medio termine, prestigio e affidabilità sociale. La domanda ora diventa radicale: la Chiesa è in condizioni, dopo il danno causato e il non essere più percepita come riferimento morale, di offrire qualcosa di più di un contributo etico? È un momento in cui un cattolicesimo che sia dottrina, discorso o riferimento normativo non può sopravvivere. Per coloro che sono rimasti nella Chiesa, smarriti e feriti, e per coloro che se non sono andati può farsi largo solamente un cattolicesimo di fatti, di una testimonianza che vada al di là della coerenza, che sia una provocazione per i cuori intelligenti.

Il punto per la ricostruzione sociale e politica mi viene offerto da Jaime Bellolio, un deputato nazionale. Ho parlato con lui a EncuentroSantiago. Bellolio, appartiene all’Udi (Unione democratica indipendente), ma sembra essere molto lontano dai postulati ufficiali del suo partito, quelli di una destra abbastanza dura. Bellolio critica apertamente Bolsonaro e confessa di essere spesso fuori dal gioco con l’argomentario della sua formazione. Non si sente a suo agio nella polarizzazione. “Dobbiamo aprirci agli altri, all’altro che è di un partito differente e agli altri nella vita sociale”, spiega. Bellolio, un liberale molto atipico che non difende una vita in comune dominata dagli interessi, sottolinea che come politico il suo compito è ascoltare i cittadini, promuovere ciò che nasce dal basso.

Non so se Bellolio durerà a lungo nel suo partito con questo discorso, ma il cammino che indica è l’unico che sembra in grado di recuperare qualcosa dalla tradizione della concertazione, tradizione che per gli studenti che protestano non significa più nulla. Il nuovo terremoto che ha scosso il Cile richiede costruire le fondamenta dal principio.

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