Comincerà domani il processo d’appello a Valentino Talluto, il 30enne condannato per aver contagiato con l’Hiv 32 persone, tra cui molte sue ex partner. Poco meno di un anno fa la terza Corte d’assise di Roma ha condannato l’untore di Hiv a 24 anni di carcere per lesioni personali aggravate, ma con la caduta dell’imputazione più pesante, cioè quella di epidemia dolosa. La procura capitolina aveva chiesto invece la condanna all’ergastolo. Il caso Talluto arriva dunque alla seconda fase processuale, davanti alla prima Corte d’assise d’appello di Roma presieduta da Andrea Calabria con Giancarlo De Cataldo. Complessivamente a Valentino Talluto sono stati attribuiti 57 episodi, di cui 32 di contagio diretto o indiretto e 25 scampati grazie alla presenza di anticorpi. L’accusa sostiene che il giovane sapeva di essere sieropositivo, ma non informava le donne, spesso conosciute in chat, con cui aveva incontri sessuali. «L’amore si fa in due», disse lui per negare le proprie responsabilità. Ma solo uno dei due sapeva che stava trasmettendo il virus dell’Hiv. Una freddezza e compostezza quella di Talluto che cozza con l’inferno raccontato dalle sue vittime.
VALENTINO TALLUTO, PROCESSO D’APPELLO PER L’UNTORE DI HIV
I fatti risalgono al novembre 2015 quando Valentino Talluto finì in carcere con l’accusa di aver infettato alcune donne. Inizialmente il caso riguardò una mezza dozzina di donne, tutte diventate portatrici di Hiv dopo aver avuto rapporti non protetti con il ragioniere. Ma dopo ulteriori indagini all’istituto Spallanzani, specializzato in malattie infettive, emersero altre tre decine di vittime, fino ad arrivare a 32 pazienti. Tutte condividono lo stesso cluster epidemico rilevato nel sangue di Talluto, ma non solo quello. L’uomo usava sempre gli stessi pretesti per evitare di usare il preservativo: “Sono sano, sono un donatore di sangue”, “controllo la mia salute regolarmente”, “sono allergico al lattice”. Loro ci credevano perché non pensavano verosimile che un uomo malato volesse infettarle dopo aver dichiarato di essere sano. Non tutte comunque hanno scoperto subito di essere sieropositive, alcune non sono neppure riuscite a mettere fine alla relazione quando ciò è avvenuto. Una delle vittime era addirittura incinta quando ha avuto rapporti con Talluto, e lui anche in quel caso evitò le protezioni, quindi tra i 32 infettati c’è anche un bambino. Il caso poi si è allargato e per il 30enne si sono aperte le porte del carcere. I domiciliari non bastavano: i giudici ritenevano che ci fosse il pericolo di reiterazione.