Centoquaranta euro: possono essere il valore di un cartella fiscale in via di possibile sanatoria su pressing dalla Lega. A scelta: su Ici e Tasi (novità delle ultime ore nel decreto fiscale); o sui ticket sanitari goduti in passato ma senza diritto (ipotesi ventilata dalla Regione Lombardia). Ma la stessa cifra può essere il prezzo preteso dalla “tolleranza zero” del Comune di Milano — a guida Pd — per “anti-rottamare” una multa stradale.
Qualche dettaglio di merito in più sul secondo caso, ma non per stabilire subito un pregiudizio negativo sulle scelte del Comune: solo per impostare uno spunto di riflessione essenzialmente sociopolitico. Più di tre anni fa un autovelox registra una violazione di tre chilometri all’ora rispetto al limite di 70. La contravvenzione minima di 41 euro non viene pagata entro il termine di cinque giorni (il multato era in viaggio di lavoro, anche se non è significativo per la legalità burocratica) ma tre settimane dopo. Nell’autunno 2018 — senza nessun avviso intermedio — arriva una lunga e perentoria ingiunzione di pagamento per 99 euro: 55,8 di “titoli esecutivi”; 27,9 di “maggiorazione ex articolo 27 l.689/81”, 15 di “spese di notifica” e 0,30 per “arrotondamento” a favore del Comune. Val la pena di aggiungere soltanto che nell’autunno 2017 uno dei titolari di centinaia di migliaia di cartelle simili è ricorso al giudice di pace di Milano, che ha stabilito l’illegittimità dell’addebito delle “spese di notifica”. Palazzo Marino non ha appellato la sentenza ma ha continuato ad applicare l’onere.
Accusare il sindaco di Milano di essere un poliziotto fiscale per finanziare magari le Olimpiadi 2026; oppure i suoi vigili urbani di essersi trasformati in moviolisti-strappamulte per difendere il proprio stipendio fisso sarebbe certamente superficiale: “qualunquista”. E comunque il profilo di Beppe Sala nei panni di un Rudolph Giuliani liberal ha mostrato di resistere bene a vari inasprimenti della “tolleranza zero” sulle multe stradali: come l’aver posto autovelox strettissimi agli ormai leggendari “pali 10 e 11” di Viale Fulvio Testi (348mila verbali in cinque mesi, cento ogni ora: i soliti 41 euro entro 5 giorni per un chilometro di sforamento dei limite di 50). Una giunta comunale ha sempre il diritto di impostare come meglio crede — nell’ambito delle sue competenze — la politica della sicurezza stradale, quella dell’ecosostenibilità urbana, quella della legalità amministrativa e, perché no, la fiscalità locale tout court. Nella democrazia italiana ogni cinque anni si vota: per il Comune come per il Parlamento. Tuttavia, in attesa dei prossimi appuntamenti elettorali, il punto politico-finanziario rimane.
Quando dalle tasche di un cittadino escono forzatamente centoquaranta euro verso la Pa, alla fine anche per un sindaco di ineccepibile buona fede politico-amministrativa (e Sala lo è) può essere molto complicato spiegare che si tratta di una penale dovuta all’enforcement di varie public policy urbane; non di un tributo. Per un cittadino — anche quello più in buonafede, come chi paga anche le multe arretrate — è difficile distinguere un importo a tre cifre all’interno della “pressione fiscale” nella sua accezione politicamente più larga — il rapporto con istituzioni e Pa — a maggior ragione se la cifra è piena di more, maggiorazioni, oneri impropri. E’ a maggior ragione difficile nell’Italia di fine 2018: dopo anni di dura spirale fra austerity fiscale, recessione economica, crisi bancaria e quant’altro. Quando ancora è fresco il ricordo della quasi-repressione tributaria condotta dall’Agenzia delle Entrate sotto il governo Monti.
E’ su questo fronte e scenario che la Lega accelera nella sua offensiva sul terreno della “pace fiscale”. Un approccio subito tacciato di “populismo elettoralista”, con più di una ragione, come ricorda il balzo dello spread. Ma ma anche in questo caso a rischio di qualunquismo: quello di vedere “illegalità” ed “evasione fiscale” in una famiglia o in una piccola azienda che non paga una multa per tre chilometri di eccesso di velocità perché banalmente non li ha o li ha solo tre mesi dopo. Oppure di non voler mai vedere la rigidità della spesa pubblica statale o locale (anche gli stipendi inamovibili dei vigili urbani, quando fuori dal municipio la disoccupazione il reddito disponibile cala e la disoccupazione è alta). Sullo sfondo, intanto, lo spread non s’impenna per i voti delle agenzie di rating, ma quando l’Unione europea rilancia la “tolleranza zero” contro l’Italia sul terreno dei conti. Ma a differenza del 2011 gli “intolleranti” tecnocrati di Bruxelles sono molto delegittimati sul piano politico (il Ps francese del commissario Pierre Moscovici non esiste più) e accusati non solo dall’Italia di usare regole e parametri della “legalità di Maastricht” a favore di alcuni Paesi europei e contro altri.
C’è dell’altro: la “rottamazione delle cartelle” a livello statale è stata decisa e avviata già dai governi di centro-sinistra. Analogamente, il contestato tentativo di condono sponsorizzato dalla Lega nella manovra 2019 — ancora in sospeso nelle modalità ultime — segue una voluntary disclosure condotta dal Mef di Piercarlo Padoan. E forse non è una coincidenza che la Procura di Milano — ancora largamente presidiata da Magistratura democratica — abbia deciso proprio in questi giorni di novembre 2018 di indagare non coloro che hanno fatto rientrare capitali scudati, ma i funzionari di banca che li hanno consigliati. Forse un sussulto ritardato di “tolleranza zero” — in un diverso quadro politico — contro la penultima “pace fiscale” gestita dall’economista-testa pensante della Fondazione Italianieuropei, co-fondatori Massimo D’Alema e Giuliano Amato.
Nella Milano 2018, comunque, i cittadini convivono con un sindaco milanese che difende la “tolleranza zero” sulle multe che sembrano tasse e un co-premier milanese che orienta governo e Regione Lombardia in direzione opposta sulle tasse percepite come multe. Senza dimenticare che l’altra metà della maggioranza di governo — che ha le sue roccaforti all’altro lato del Paese — sta pensando di offrire ai cittadini-elettori un “sollievo fiscale” su vasta scala sotto il nome di “reddito di cittadinanza”: l’esatto contrario dal depositare in cassetta postale ingiunzioni di pagamento doppio per multa pagata a metà tre anni prima.
Il punto non è chi vincerà le prossime elezioni: a Milano, in Italia (dove l’ultimo voto politico ha detto molto) o nel tanto atteso rinnovo del Parlamento europeo, il prossimo maggio. Il punto è uscire dagli opposti “qualunquismi”.