Lunedì 3 dicembre Confindustria riunirà a Torino il suo Consiglio generale – il parlamentino dell’associazione rappresentativo di territori e categorie – invitando a partecipare tutti i presidenti del sistema associativo. C’è anche la possibilità che altre organizzazioni imprenditoriali vogliano riunirsi nello stesso giorno e nella stessa città per rinforzare il messaggio dell’iniziativa. Messaggio che rinforza quello lanciato con la manifestazione di sabato 10 novembre – quando oltre 30mila persone si sono date appuntamento nel capoluogo piemontese senza bandiere e senza casacche – e che si presenta molto semplice e diretto: le grandi opere servono al Paese perché non resti isolato e sono un patrimonio collettivo al quale gli italiani non possono assolutamente rinunciare.
Dunque, al bando gli ideologismi e sì alla Tav che i 5Stelle vorrebbero cancellare perdendo in un colpo solo la faccia con i partner francesi, il valore degli investimenti già fatti e il cofinanziamento europeo (non è vero che i soldi risparmiati possono essere dirottati altrove). Senza contare che l’Italia sarebbe più povera perché avrebbe un minore capitale installato al servizio dell’economia e dei cittadini. Eppure, proprio la fermezza con la quale il Governo difende l’obiettivo dell’1,5% di crescita per il prossimo anno – nel tentativo di legittimare di una manovra che altrimenti non si terrebbe in piedi – dovrebbe consigliare di aprire quanti più cantieri possibile. Una seria e convinta politica per le infrastrutture è l’unica soluzione per garantire rapidamente sviluppo e occupazione.
L’ennesima valutazione costi/benefici alla quale sembrerebbe appesa la sorte della linea ferroviaria ad alta velocità non potrà non tener conto dell’impatto positivo che si avrebbe sul Prodotto interno lordo, i posti di lavoro, l’inquinamento. Non si può paragonare la Torino-Lione a una cattedrale del deserto, come perfino una persona ragionevole come il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha fatto.
Se si vuole stimolare l’economia presto e bene non c’è altro da fare che mettere mano all’industria delle costruzioni. Un’industria che oggi si presenta moderna e tecnologica – capace di riceve apprezzamenti in tutto il mondo – non avendo più nulla da spartire con il ricordo di speculatori disinvolti, cementificatori, palazzinari. Anche questo catalogo va al più presto aggiornato. Il patrimonio collettivo va arricchito, non depauperato, cercando di gettare lo sguardo al di là del proprio naso. Come fece una classe dirigente di prim’ordine che negli anni Sessanta decise di unire l’Italia da Nord a Sud, progettò l’autostrada del Sole che collega Napoli e Milano e fu capace di realizzarla in otto anni nonostante non avesse a disposizione la strumentazione raffinata oggi disponibile.
E non regge nemmeno la scusa che a star fermi si evitano dispersioni di risorse e infiltrazioni mafiose. La giusta esigenza di garantire efficienza e trasparenza potrà essere soddisfatta dal nuovo personale politico oggi al comando che finalmente potrà dispiegare sul campo il vessillo dell’onestà. Quale migliore banco di prova per dimostrare di essere diversi e migliori dai predatori del passato?