La decisione di non procedere al recupero del sottomarino ARA San Juan, miracolosamente ritrovato a sole 24 ore dall’interruzione totale di ricerche che nell’arco di un anno esatto hanno visto impegnate diverse nazioni e ogni tipo di mezzo disponibile, appare in effetti scontata, ma, se da un lato rispetta il fondo del mare come tomba dei 44 membri dell’equipaggio, dall’altro allontana le possibilità di una soluzione sul mistero della scomparsa del sommergibile. Perché tutte le prove fotografiche che si sono e si potranno ottenere non lo risolveranno definitivamente.
Quando lo scorso venerdì sera, durante una seguitissima trasmissione di dibattito politico, il giornalista Daniel Santoro dava la notizia del ritrovamento di un oggetto di 70 metri di lunghezza a 840 metri di profondità, in molti pensavano, nonostante si parlasse di un’ipotesi molto verosimile, che si trattava del 22mo segnale tra quelli che lo avevano preceduto e che erano poi risultati falsi. Invece no, si trattava proprio dell’ARA San Juan, come si confermava il mattino successivo nella conferenza stampa nella sede dell’Ammiragliato: i dati poi erano incredibili. Il sommergibile era stato trovato proprio dove si supponeva che fosse e dove pure sei mesi fa una spedizione cilena aveva detto potesse essere: e non è che solo ora siano state possibili ricerche sommergibilistiche, visto che fino a pochi mesi fa una spedizione sovietica considerata la più tecnologicamente avanzata per questo genere di missioni non aveva prodotto risultati.
Ora si pretende la verità, ma è impossibile, perché pure una rimozione parziale di pezzi isolati del mezzo non servirebbe a nulla e non solo per l’altissimo costo dell’operazione, ma anche perché si rimedierebbero prove inquinate dalla rimozione stessa. Già dopo un anno a quasi mille metri di profondità, con una pressione equivalente a 1500 tonnellate, è da considerarsi una fortuna aver trovato il sottomarino pressoché intatto e con segni di un’implosione che fanno propendere per un cortocircuito elettrico che potrebbe essere stato provocato da un’erronea manovra, ma anche per un cedimento improvviso di elementi strutturali. Non si spiega, a questo punto, come mai, nonostante l’equipaggio avesse segnalato il problema, non sia stato impartito l’ordine di rientro in base o si sia perso molto tempo prima di impartirlo, dato che lo stesso non è stato mai ricevuto.
Una cosa è certa, come da tempo dicono molti esperti: l’ARA San Juan era partito dalla base di Ushuaia in condizioni non ottimali e nel corso delle indagini sul ricondizionamento del mezzo sono emersi particolari su operazioni non effettuate a dovere.
Rimangono i misteri sulla missione che il sommergibile doveva compiere, fatto che ha generato anche ipotesi poi rivelatesi fantasiose come lo speronamento da parte di una nave da pesca cinese (il compito del San Juan era proprio quello di individuare natanti in operazioni di pesca non autorizzate in acque argentine) o di una bomba lanciata da un cacciatorpediniere inglese che non aveva ottenuto risposta ai segnali di individuazione lanciati, visto che l’ARA doveva trovarsi in acque britanniche. Balle che sono state smentite dal ritrovamento attuale, che però continuerà a nascondere le vere ragioni di una sparizione che, a quanto si vede, continua a commuovere il mondo intero. RIP.