Se ne parla. Forse in seguito al “fascistometro” della Murgia di cui ha trattato anche questo giornale. Forse in seguito al discusso “M” di Antonio Scurati, una sorta di biografia romanzata del condottiero di Predappio. Forse per le puntuali polemiche seguite alle nostalgiche rievocazioni della marcia su Roma, svoltesi recentemente ancora nella cittadina romagnola che ha dato i natali e conserva le spoglie del “duce”. Forse per il clima “sovranista” che si è diffuso in Italia e in talune parti d’Europa. Forse, più banalmente, per lo strascico della polemica tra Moscovici e il leghista Ciocca che ha preso a scarpate gli appunti del commissario europeo. Si parla di un possibile ritorno del fascismo. Ed è bene parlarne. Per smentire che esista questa minaccia, anzitutto.
Ma precediamo con ordine. Il fascismo lo combatti e lo esorcizzi se sai che cos’è. L’impressione è che se ne chiacchieri molto senza averne una nozione corretta, per cui si crede fascista chi scimmiotta certe mode muscolari e, all’opposto, paventa rigurgiti di fascismo chi, da posizioni generalmente di sinistra, critica le derive populiste per portare avanti un progetto spesso elitario e poco rispettoso della realtà. Bene ha fatto Paolo Mieli, nel suo editoriale del 28 ottobre sul Corriere della Sera, a sostenere che “l’esercizio, anche non improprio, di ogni tipo di autorità espone quasi naturalmente a questa accusa, talché il termine fascista è venuto a perdere ogni rapporto con la realtà degli anni Venti e Trenta in cui è diventato d’uso comune nell’intera Europa”.
Chissà, magari anche chi nega la riapparizione di questi fantasmi sarà bollato di fascismo. Naturalmente, sostenere che non esista un pericolo fascista dietro l’angolo non significa negare i problemi, le tensioni e le contraddizioni che attraversa in vari Paesi, compreso il nostro, il sistema democratico. Ma appunto, un conto è la democrazia debole e un altro il regime dittatoriale che soffoca ogni libertà. Ora, se è importante conoscere il fascismo per poterlo eventualmente contrastare, come questo fenomeno storico viene trattato nei manuali scolastici? In altri termini, è possibile mettere a disposizione di coloro che nel prossimo futuro dovranno assumere anche responsabilità manageriali e politiche gli strumenti per giudicare ragionevolmente la realtà?
Mieli non si è occupato di questo, ma la sua argomentazione (autoritarismo non è fascismo) ci appare comunque debole. Sembra che sia in atto nei libri di scuola la tendenza a storicizzare il fascismo, cioè a considerarlo un episodio, in qualche modo un incidente, tipico di una società, la nostra, che dal primo dopoguerra è avviata verso la lenta seppure contrastata inclusione della dialettica di classe entro la cornice dello Stato. L’interpretazione più diffusa (Giardina-Sabbatucci-Vidotto; Gentile-Ronga; Luzzatto) è quella del fascismo come squadrismo, poi costituzionalizzato da Mussolini, diretto a impedire la crescita dei movimenti di sinistra e a garantire la restaurazione dell’ordine costituito a favore dei ceti possidenti. Si tratta ancora, nonostante De Felice, della vecchia interpretazione azionistica del fascismo come nemico della laicità e del repubblicanesimo che troverà poi il suo vero certificato di morte nella Resistenza, piuttosto che nel 25 luglio del ’43.
È questa una linea dura a morire che non permette di andare al cuore del problema e dunque impedisce di comprendere nel modo giusto l’attualità. Bisognerebbe, infatti, insistere di più sull’aspetto ideologico del fascismo, che fu certamente un evento totalitario, ma non nel senso delineato dalla Arendt, che coniò la categoria di “totalitarismo imperfetto”. Fu in realtà un totalitarismo perfetto (Del Noce docet) seppure diverso dalle due massime espressioni totalitarie novecentesche, quella sovietica e quella hitleriana.
Il cuore del fascismo fu il rapporto tra Stato e nazione, dove è lo Stato a generare la nazione. È la filosofia dello Stato etico a generare il partito fascista. Esso è subordinato alla personalità del “duce” che personifica a sua volta la volontà dello Stato. Nelle due altre forme (leninista e nazista) fu il partito a mangiarsi lo Stato.
Se tutto questo è vero, si può sostenere che l’ideologia fascista trovò il suo sviluppo naturale proprio nel farsi Stato di ogni fattore della vita pubblica e privata, tramite la propaganda, la lotta contro ogni autonomia culturale e religiosa, infine la guerra contro la democrazia. Da questo punto di vista il fascismo è proprio il contrario del populismo, almeno nella misura in cui quest’ultimo ricerca il consenso della massa anonima degli individui contro lo Stato e contro la politica.
Per venire a noi, da questi pochi spunti, che dovrebbero essere approfonditi, si può già ricavare che siamo lontani, per fortuna, dal rischio drammatico di un fascismo risorgente. Storicamente non è possibile che ciò avvenga. Non siamo alla presenza di uno Stato forte, né di qualche duce che lo personifichi, né, tantomeno, di forti richiami ad un’etica comune. Semmai corriamo il pericolo opposto: individualismo, assenza dello Stato dove occorrerebbe, diseducazione all’etica civile.
Detto questo, non possiamo stare tranquilli perché se la storia sembra ripetersi negli atteggiamenti autoritari di una determinata classe politica, forse, come ha detto uno che di rivoluzioni se ne intendeva (Marx), siamo di fronte ad una farsa. È appunto la mancanza di verità sull’essenza delle cose, è l’ambiguità nei rapporti che spesso caratterizza il nostro clima sociale che ci ha allontanato dal fascismo senza riaffezionarci al bene comune. Si reagisce come sempre con l’educazione. Al valore unico della persona, alla responsabilità nell’esercizio delle scelte, all’attenzione all’altro priva di ogni interesse particolare o ideologico.