Fanno il deserto e lo chiamano pace. Tacito, 1900 anni fa, aveva le idee molto chiare sull’Unione Europea, che ieri ha bocciato la manovra italiana e agitato lo spettro della procedura di infrazione, anche se ancora si tratta (sabato Conte vedrà Juncker). Il verdetto della Commissione è già commentato oggi dal Sussidiario sotto il profilo economico, qui ci preme approfondirne gli aspetti costituzionali. “È probabile che qualcuno cerchi di portare la legge di bilancio davanti alla Consulta” spiega il costituzionalista Mario Esposito. Forse è proprio quello che il Colle sta aspettando. Gli italiani possono ancora difendersi dalla “meravigliosa ambiguità” dell’Unione, il sistema di governo robotizzato al quale una nutrita schiera di politici ha consegnato l’Italia, senza difese? Secondo il giurista una strada ci sarebbe.
La Ue ha un alleato molto potente: gli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, modificati dal parlamento durante il governo Monti nel 2012. Che rapporto si configura tra la Commissione e il governo italiano, su questa base?
Cominciamo col dire che con quella riforma abbiamo volontariamente assoggettato le nostre politiche di bilancio a fattori esterni al circuito di rappresentanza politica. E lo abbiamo fatto con eccezionale solerzia. Con la conseguenza che la procedura aperta dalla Commissione per deficit eccessivo assume il significato di una sorta di sfiducia nei confronti dell’Esecutivo che non rispetti i vincoli e le “raccomandazioni” europee in materia di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito.
Insomma, abbiamo dato al ladro le chiavi di casa.
Ma forse direi piuttosto che abbiamo rubato a casa nostra, se proprio vogliamo esprimerci in questi termini. Il ddl di riforma costituzionale venne presentato nella primavera 2011, durante il governo Berlusconi, alla vigilia della sottoscrizione del Patto europlus, che non è un trattato ma un mero accordo internazionale in forma semplificata (voluto da Francia e Germania nel 2011, ndr), peraltro in odore di incostituzionalità per contrasto con l’art. 80 Cost. In altri termini, abbiamo anticipato il Fiscal compact, assumendone i contenuti di principio in Costituzione. Tempismo che si stenta a credere casuale.
Dunque dobbiamo prepararci a che la legge di bilancio sia costituzionalmente illegittima. Meglio di così per la Commissione europea non potrebbe andare.
Sì, se viene giudicata non conforme a quei vincoli contabili e finanziari, non solo nei trattati, ma anche negli atti derivati, quali il Patto di stabilità e crescita (Psc) e le raccomandazioni del Consiglio sull’obiettivo di medio termine — tutte scelte politiche vestite con un linguaggio di apparenza tecnica. A mio avviso, però, quella revisione costituzionale potrebbe essere a sua volta incostituzionale, in quanto in contrasto con la norma essenziale del nostro ordinamento, l’art. 1 Cost., in forza del quale l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, organizzata in base al principio dell’appartenenza della sovranità al popolo.
Eppure, grazie a quella riforma, i Moscovici e i Dombrovskis di turno possono perfino dire, come è avvenuto ieri, che stanno prendendo decisioni nel nostro interesse.
Questo è il paradosso più rilevante, ma ce n’è anche un altro: ieri ci è stato detto che le conseguenze macroeconomiche dei vincoli di Maastricht e del Psc (lucidamente preconizzate da alcuni autorevolissimi studiosi, tra i quali Guarino e Merusi) sono a carico nostro. Poco importa se quei vincoli costringono l’economia italiana in condizioni così disastrose da far dubitare della loro sensatezza; no. Ce ne addebitano pure le conseguenze distruttive: neppure il minimo dubbio, nelle valutazioni della Commissione, circa la loro inadeguatezza.
Torno alla domanda di partenza: che rapporto c’è tra Commissione e governo italiano?
La prossima procedura di infrazione mi ricorda molto da vicino il rapporto che c’era tra lo Stato e le Regioni nella versione originale della Costituzione, quando il commissario regionale poteva impugnare la legge regionale che fosse stata riapprovata dopo i suoi rilievi dinanzi alla Corte costituzionale, per motivi di legittimità, o alle Camere, per motivi di interesse nazionale.
Quindi?
Con una leggerezza politica che assomiglia molto alla fiducia degli stolti, nel corso del lungo cammino comunitario abbiamo trasformato, per di più con leggi ordinarie, il nostro ordinamento statuale in un ordinamento di rango regionale, diversamente da quanto hanno fatto altri Paesi con serie modifiche delle loro costituzioni, in funzione, tra l’altro, di filtro rispetto alle decisioni assunte a Bruxelles (o a Lussemburgo). I nostri organi realmente apicali non sono più quelli italiani, ma quelli europei!
La Corte costituzionale potrebbe tutelarci?
Improbabile, visto che è lo stesso Giudice per il quale l’integrazione europea si basa sul convincimento che l’obiettivo dell’unità europea giustifica la nostra rinuncia a spazi di sovranità anche se questa è garantita da disposizioni costituzionali. Chiaro? Non lo dico io, lo ha detto la Consulta nella ordinanza n. 24/2017, relativa al caso Taricco. Chi aveva il potere di decidere di dar corso a una scelta così capitale da essere definita come rinuncia? Quale disposizione della Costituzione autorizzerebbe in ipotesi il Parlamento a procedere in tal senso? Non l’articolo 11, che parla di “limitazioni” della sovranità. Ma qui c’è un altro punto da considerare: rinuncia a spazi di sovranità di chi?
Del popolo, immagino.
Esatto. Vuol dire che non c’è più nessuno che comanda? No. A comandare è un apparato di governo posto fuori dal territorio nazionale, slegato dal circuito rappresentativo e quindi dalle forme organizzative proprie, secondo la scelta del nostro Costituente, della sovranità popolare.
Tutto questo cosa comporta, professore?
Significa che l’intero processo europeo, per come è stato recepito e attuato, ha inciso sulla scelta costituente del 2 giugno 1946, quella della forma di stato repubblicana. Senza che nessuno abbia consultato i cittadini.
Qualcuno le obietterebbe che con il governo partecipiamo al Consiglio dell’Unione Europea.
Ma questa non è una smentita, bensì una conferma della rottura costituzionale: si può davvero sostenere che la cosiddetta forma di governo dell’Unione Europea è conforme al principio di sovranità popolare di cui all’art. 1 Cost.? D’altra parte, la Commissione è un organo partecipato in egual misura dagli altri Paesi e decide (anche) a maggioranza. A ciò aggiunga ancora quello cui accennavo prima e cioè che l’adattamento degli ordinamenti nazionali alla “integrazione europea” non è affatto avvenuta con forme e in modi analoghi per tutti gli Stati.
Viene in mente quel che vedremo in occasione dell’Ecofin, quando i ministri delle finanze dei paesi membri dovranno decidere sulla procedura di infrazione contro l’Italia.
Appunto. E’ questo un ordinamento che garantisce la pace e la giustizia tra le nazioni? O non nasconde piuttosto, dietro le procedure formali, guerre economiche per l’egemonia continentale? Favorisce la giustizia un ordinamento che invece di soccorrere i Paesi membri in difficoltà — quando, come risulta persino dal parere e dalla relazione della Commissione, le loro finanze siano esposte a pericolo da fattori che essi non possono controllare — ad esempio consentendo di fare politiche anticicliche, minaccia sanzioni economiche? Non direi. Direi piuttosto “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” (“fanno il deserto e lo chiamano pace”).
Difficilmente Mattarella non firmerà la legge di bilancio.
Concordo. Piuttosto, si avvalora oggi una certa lettura dei “robusti” interventi presidenziali in sede di formazione del Governo Conte. È più probabile, invece, che qualcuno cerchi di portare tale legge davanti alla Corte costituzionale. La legge di bilancio non è esclusa dal sindacato costituzionale, e ci si potrebbe arrivare con un giudizio incidentale, nell’ambito di un contenzioso civile o amministrativo su un atto che sia applicativo di una misura contenuta nella manovra.
In pratica?
Qualcuno potrebbe sostenere che la legge di bilancio è incostituzionale perché, risultando contraria ai vincoli europei, viola anche l’art. 97 comma 1: equilibrio di bilancio e sostenibilità del debito pubblico delle pubbliche amministrazioni.
Come andrà a finire questa partita?
La procedura di infrazione è una strada complessa e si presta bene, com’è noto, ad un uso di lungo periodo. Siamo nel mezzo di una prova di forza, per affrontare la quale non siamo affatto disarmati.
Possiamo riprenderci ciò che ci è stato tolto?
Le rispondo così: forse tutto questo doveva succedere, in modo che venisse alla luce il nodo sinora eluso del nostro rapporto con l’Ue, che perfino noti manuali universitari si compiacciono di definire di “meravigliosa ambiguità”. Ambiguo, a dir poco, è il nostro rapporto con essa, così come singolarmente ambigua e pericolosa è l’elusione di tale questione fondamentale.
Però non mi ha risposto.
Vogliamo regolare una volta per tutte, per la salvezza del paese, questa “meravigliosa ambiguità”? La possibilità c’è e fa capo all’articolo 1 Cost., che è il frutto della scelta referendaria istituzionale, fatta con sistema proporzionale puro, dunque fortissima: un acquis storico, che resiste anche alle scaltrezze tattiche — ma poco strategiche —. Non sarebbe possibile dar luogo, una volta tanto con sicura ragione, ad una procedura di revisione costituzionale che preveda un’obbligatoria consultazione popolare?
(Federico Ferraù)