Lo slogan della prima edizione della China International Import Expo (Ciie), “new era, shared future”, ha chiarito al mondo le ragioni che hanno sollecitato il presidente Xi Jinping a promuovere l’evento, tenutosi dal 5 al 10 novembre scorsi al National Exhibition and Convention Center di Shanghai. La rassegna, in particolare, ha illustrato agli operatori internazionali quale sarà la politica economica adottata dalla Cina nei prossimi anni, oltre che il tenore delle relazioni promosse dalla Repubblica popolare su scala globale.
In fondo, Xi Jinping ha dato vita a una grande fiera campionaria: è la “natura” della rassegna che, un tempo, andava in scena a Milano, suddivisa in settori e comparti. La Ciie, come la storica kermesse meneghina, ha perseguito, innanzitutto, un obiettivo di carattere politico prima ancora che un’utilità economica: l’intento, da un lato, era quello di consolidare, internamente, l’immagine di un Paese che intende proporsi al mercato internazionale e, dall’altro, quello di comunicare questa disponibilità al mondo intero. Alla China International Import Expo – non a caso – erano presenti, nelle vesti di espositori, tutte le grandi imprese internazionali che operano in Cina (comprese le nostre), nonché numerose delegazioni internazionali aggregate (tranne quella italiana, in verità) impegnate in vari settori produttivi, dal food al fashion.
Il ministero del Commercio cinese e il Governo della municipalità di Shanghai hanno dato vita, insomma, a una grande vetrina di comunicazione e di promozione che ha richiamato, nel polo fieristico, i rappresentanti delle istituzioni e delle strutture organizzative del Paese, gli operatori nazionali dei servizi di import e di export, i delegati delle free zone, i funzionari statali impegnati nelle attività di promozione dei mercati, oltre che il grande pubblico, intervenuto negli ultimi due giorni di apertura.
Anche la rete di artigiani italiani targata Artimondo ha partecipato, proponendo, in due diverse aree, una selezione di 275 prodotti Food, Health & Beauty e Fashion realizzati da 40 aziende. Nelle vesti di promotori della partecipazione, abbiamo riscontrato alcune criticità organizzative da parte degli enti preposti che, nel tempo, saranno certamente risolte. Più nel complesso, ci ha colpito la presenza unitaria dei Paesi presenti, compresi quelli africani, che hanno comunicato, in modo efficace, l’identità di ogni singola delegazione.
L’Italia, al contrario, s’è presentata all’appuntamento in ordine sparso: da un lato, la collettiva promossa da Camera di commercio Italo-Cinese, Fondazione Italia Cina e Aice (Associazione italiana commercio estero); dall’altra, la presenza parallela del gruppo targato Ice (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane). Insomma, se volessimo reinterpretare una massima del celebre Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, potremmo dire che in questa grande epoca di cambiamento “tutto sia rimasto com’è”: l’Italia, all’interno della rassegna di Shanghai, s’è mossa “a macchia di leopardo”, priva di una strategia unitaria di promozione e di rappresentazione di sé.
Certo, proprio in coincidenza dell’arrivo del vicepresidente del Consiglio dei ministri, Luigi Di Maio, le agenzie di stampa hanno annunciato le importanti commesse concordate dal nostro Paese, in campo tecnologico e agroalimentare e solo a beneficio di grandi gruppi, pari a un miliardo di euro circa. Come italiano e imprenditore non posso che gioire per il risultato raggiunto dalla compagine governativa, ma non posso nascondere il mio personale disappunto per la scarsa attenzione riservata alle micro e piccole imprese italiane presenti. Si tratta, del resto, di realtà che rappresentano il 99,4% della nostra economia: esse, operando attraverso la nostra rete, tentano di approcciarsi a un mercato così imponente ma, allo stesso tempo, complesso e complicato, senza un benché minimo supporto capace di dischiuderne le potenzialità.
Mi chiedo, dunque, quale sia stata l’obiezione fatta alla creazione di una cornice unitaria alla presenza italiana. Inoltre, mi risulta del tutto incomprensibile il ruolo assunto dall’Ice (a tratti autoreferenziale) nell’occasione, oltre che la totale assenza di coordinamento tra la stessa Agenzia, il ministero allo Sviluppo economico, la Camera di commercio Italo-Cinese e l’Aice. Un’azione congiunta tra gli attori impegnati nello sviluppo del made in Italy in Cina – capace di supportare tutte le imprese – è, del resto, l’orizzonte minimo a cui dobbiamo traguardare. Per questa ragione, mi auguro che nella pianificazione dei prossimi appuntamenti internazionali tali soggetti possano confrontarsi, in modo costruttivo, per valorizzare le nostre eccellenze in Cina e, più in generale, nel mercato globale.
Concludo con un’ultima considerazione, legata all’impegno di Xi Jinping. Il leader cinese è al lavoro per creare nessi, collegamenti e ponti con il mondo. Alcuni ritengono che la sua politica, che trova nell’apertura ai mercati globali il suo sbocco naturale, possa consegnare alla Cina una centralità assoluta sullo scacchiere internazionale. Io, invece, vivo la strategia di sviluppo di Pechino come una grande opportunità, capace di mettere a confronto due grandi storie, tradizioni e culture.
Chi considera la Cina solo alla stregua di un pericolo nasconde, oggi, una fragilità identitaria e di idealità e persegue, allo stesso tempo, un obiettivo che va esattamente all’opposto del dialogo promosso da Papa Francesco e dalla Chiesa in Cina. Più che scatenare allarmi o annunciare chissà quali scenari, occorre allora accogliere lo spirito espresso dallo slogan della manifestazione: “new era, shared future”.
Siamo disposti ad accettare questa sfida? Io, come promotore di una rete di micro e piccole imprese, la accetto.