Nel documento relativo alle motivazioni della Cassazione in merito alla sentenza all’ergastolo a Massimo Bossetti, ampio spazio viene riservato proprio alla dinamica del delitto di Yara Gambirasio. Secondo i giudici della Suprema Corte, Bossetti “dopo aver prelevato la ragazza e averla stordita, l’ha trasportata nel campo di Chignolo d’Isola“. Qui il corpo della 13enne fu rinvenuto tre mesi esatti dopo ed i “tempi del prelevamento della vittima, del suo trasbordo sul campo di Chignolo e del ritorno a casa dell’imputato sono stati giudicati compatibili con il rilevato orario di rientro a casa alle ore 20-20,15, come si desume dalle dichiarazioni del coniuge“. Nelle motivazioni la Cassazione ha ripercorso ancora una volta ciò che avvenne il 26 novembre 2010 quando Yara fu vista uscire per l’ultima volta dalla palestra di Brembate. I giudici hanno poi sottolineato anche gli elementi a carico del muratore, tra cui “la presenza di calce nelle lesioni” trovate sul corpo della vittima e che secondo gli inquirenti sarebbe dovuta all'”arma da taglio sporca di calce“. Ed ancora, la presenza di Bossetti nel pomeriggio della sparizione della ragazzina “in località prossima al Centro sportivo” e il “telefono spento” oltre al fatto che Bossetti “mai era stato in grado o aveva voluto riferire alla moglie, ai cognati e agli altri familiari cosa avesse fatto quel pomeriggio e quella sera“. L’uomo passò ripetutamente davanti alla palestra della vittima proprio in concomitanza con la sua uscita. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
BOSSETTI, “NON SONO STATO IO”
«Non sono stato io ad uccidere Yara Gambirasio»: Massimo Bossetti continua a proclamare la sua innocenza, nonostante la condanna definitiva all’ergastolo in Cassazione per l’omicidio della ginnasta di Brembate di Sopra. Ieri sono giunte le motivazioni della condanna ed è possibile evincere il pensiero dei giudici sul corso processuale, non sono mancate le bacchettate alla difesa del muratore, che ha insistito soprattutto sulla nullità e inutilizzabilità dei risultati delle indagini del Ris. Ma la Cassazione non ha dubbi, «poiché (la difesa, ndr) riproduce le argomentazioni già sviluppate nel primo incidente cautelare» e «pedissequamente riproposte, così dimostrando sorda ostinazione». «Bossetti la stordì e la portò nel campo, il Dna di Ignoto 1 è il suo», aggiunge la Cassazione, sottolineando che non vi sono dubbi sulla colpevolezza dell’uomo: ora la difesa prepara il ricorso a Strasburgo, con il muratore che è pronto a tutto per dimostrare la sua non colpevolezza, gridata negli ultimi anni senza mai arretrare. (Aggiornamento di Massimo Balsmao)
DINAMICA E ASSENZA DI ALIBI
Nelle motivazioni della sentenza con cui ha confermato l’ergastolo di Massimo Bossetti, la Cassazione ha spiegato che il profilo genetico di Ignoto 1 rinvenuto sulle mutandine di Yara Gambirasio è quello dell’imputato. Non ci sono dubbi per la Suprema Corte riguardo l’identità tra Ignoto 1 e Bossetti, visto che la probabilità di errore è di 1 su 20 miliardi, «salvo che l’imputato abbia un fratello gemello monozigote (in questo caso il dna è identico), circostanza però non dedotta ed esclusa da tutti i protagonisti della vicenda». Nelle motivazioni è stata anche ricostruita la dinamica dell’omicidio: Bossetti ha prelevato Yara e l’ha stordita, poi l’ha trasportata nel campo di Chignolo d’Isola, dove la ragazzina fu ritrovata tre mesi più tardi. Inoltre, l’«assenza di alibi si coordina perfettamente con gli elementi indiziari emersi costituiti dalla compatibilità con l’orario di ritorno a casa e il tempo necessario per eseguire l’aggressione e commettere l’omicidio nel campo di Chignolo». La Cassazione fa riferimento anche ad una «volontaria reticenza di fornire spiegazioni su cosa avesse fatto nell’arco temporale di interesse, nonostante le precise sollecitazioni che i parenti e i famigliari gli avevano posto a distanza di soli 8 giorni dalla sparizione della ragazza». (agg. di Silvana Palazzo)
BOSSETTI, MOTIVAZIONI CASSAZIONE “SUO DNA IGNOTO 1”
Per la Cassazione è rintracciabile la piena corrispondenza tra il profilo genetico di “Ignoto 1” rinvenuto sugli indumenti intimi di Yara Gambirasio e il Dna di Massimo Bossetti. E’ quanto si legge nelle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo a carico del muratore di Mapello che anche in terzo grado è stato ritenuto il solo assassino della 13enne di Brembate di Sopra uccisa nel novembre 2010. Nessun dubbio, dunque, sul fatto che il Dna Ignoto 1 sia quello di Massimo Bossetti, come evidenziato da “numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori” e che hanno avuto “valore di prova piena”. La Cassazione ha così racchiuso le motivazioni della sentenza di condanna in un documento di 155 pagine nel quale, come spiega TgCom24, risponde ai venti motivi di ricorso della difesa che ha sollevato diverse obiezioni, a partire proprio dalla prova regina del Dna, la “catena di custodia” ed i kit impiegati. La Suprema Corte ha aggiunto ancora: “La probabilità di individuare un altro soggetto con lo stesso profilo genotipico” equivale a “un soggetto ogni 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui”. Gli stessi giudici hanno affermato che il profilo genetico è stato confermato da 24 marcatori confermando quindi la certezza dell’identificazione poichè ne sarebbero bastati anche solo 15 per individuare un soggetto.
ESCLUSA IPOTESI COMPLOTTO
Nella motivazioni della Cassazione in merito alla sentenza di condanna all’ergastolo anche in terzo grado per Massimo Bossetti, ritenuto l’assassino di Yara Gambirasio viene data risposta anche alla tesi del complotto più volte avanzata, escludendo categoricamente questa ipotesi. “Visto che la difesa ha utilizzato l’argomento anche in sede extra processuale, è bene chiarire che la genericissima ipotesi della creazione in laboratorio del Dna dell’imputato, oltre ad appartenere alla schiera delle idee fantasiose prive di qualsiasi supporto scientifico e aggancio con la realtà, è manifestamente illogica”, scrivono i giudici. Gli stessi hanno ritenuto “fantasiosa” anche “l’ipotesi di contaminazione volontaria”. “Se si volesse seguire la tesi complottista legata anche alla necessità di dare in pasto all’opinione pubblica un responsabile è evidente che”, aggiungono i giudici, “si sarebbe creato un profilo che immediatamente poteva identificare l’autore del reato senza attendere, come invece è accaduto, ben tre anni”. Ed ancora, altrettanto fantasiosa sarebbe secondo la Cassazione “l’ipotesi di una contaminazione volontaria da parte di terzi prima del ritrovamento del corpo della vittima”.