Le trattative per la cessione di Alitalia a Ferrovie dello Stato (FS) sono ormai a uno stadio avanzato. Non è ancora chiaro quale sarà il ruolo di FS nella gestione di Alitalia, se cioè si limiterà a una funzione di garanzia e coordinamento in vista dell’attrazione di altri investitori, o se, al contrario, avrà una posizione chiave anche dal punto di vista industriale. In ogni caso, la presenza di FS è destinata ad avere conseguenze significative.
Rispetto ad altri potenziali acquirenti, FS presenta almeno tre caratteristiche distintive: è un’impresa italiana; è un’impresa statale; è un’impresa che opera in un settore diverso, ma fortemente collegato a quello aereo, specialmente tramite la controllata Trenitalia. È dunque interessante chiedersi se il coinvolgimento di FS, con queste sue caratteristiche, possa portare vantaggio ai consumatori e ai cittadini italiani rispetto alle altre alternative che si sono presentate, cioè le compagnie aeree Delta Airlines ed Easyjet.
Il primo aspetto riguarda l’importanza dell’italianità: è ragionevole usare come criterio la nazionalità dell’impresa acquirente? Il problema si è posto sin dalla prima operazione di salvataggio del 2008, quando venne predisposta una cordata italiana guidata da Colaninno per scongiurare il progetto alternativo di fusione con Air France. Le motivazioni addotte in favore dell’italianità riguardavano la supposta maggiore propensione delle imprese italiane a tenere conto non solo del proprio profitto, ma anche degli impatti delle proprie scelte sul sistema. Ad esempio – questo era l’argomento -, un’impresa italiana potrebbe decidere di programmare un volo verso una certa destinazione turistica anche se questo non è sufficientemente remunerativo, perché tiene conto, in un’ottica di sistema, dei benefici complessivi per la destinazione, legati al maggior afflusso di turisti.
In realtà, a ben vedere, si tratta di un argomento ben poco convincente. Un’impresa che opera secondo normali logiche di profitto non considera gli aspetti di sistema indipendentemente dalla nazionalità: qualora lo facesse, anzi, gli azionisti potrebbero lamentarsene. Per convincere un’impresa a programmare un volo per una destinazione di per sé poco redditizia, occorre offrire un sussidio, o comunque un pagamento, in cambio del servizio. Ma in questo caso conta il sussidio, e non certo l’italianità. Tanto che l’irlandese Ryanair è stata attivissima, verosimilmente molto più di Alitalia, nel sottoscrivere contratti con regioni e aeroporti per garantire voli in diverse località turistiche.
Certo, si potrebbe obiettare che regioni e aeroporti potrebbero non volere spendere per assicurare l’accessibilità anche quando essa non sia redditizia per il vettore aereo. In altri termini, vorrebbero accessibilità a costo zero, e un vettore pubblico – e qui veniamo al secondo aspetto, cioè alla proprietà statale di FS – potrebbe garantire l’accessibilità come propria mission. Se ciò accadesse, si porterebbe Alitalia al di fuori di una logica di mercato, il che renderebbe assai complicata l’auspicata presenza nel capitale di un partner privato. Quale incentivo potrebbe infatti avere un partner privato a entrare in un sodalizio con un socio interessato a obiettivi in contrasto con i propri?
Questo non è certamente il solo argomento a sfavore della proprietà statale. La stessa storia dell’Alitalia pubblica testimonia infatti che al decisore pubblico, almeno in questo settore, spesso sono mancati gli incentivi per agire in modo efficiente. A maggior ragione quando l’obiettivo è diverso dal profitto: in tal caso, infatti, diventa molto più difficile individuare una metrica per valutare l’operato del management, ed esiste il concreto rischio che, nascondendosi dietro la giustificazione di voler garantire certi tipi di servizi in perdita, si alimentino sprechi e inefficienze che pesano sui contribuenti, peraltro spesso senza nemmeno riuscire a garantire quei benefici per cui tali servizi erano stati originariamente pensati.
Il tema dell’integrazione fra treno e aereo è forse ancora più spinoso. È opinione diffusa che la fusione tra Alitalia e FS potrà generare delle complementarietà tra treno e aereo. Questo potrebbe avvenire, ad esempio, tramite un miglioramento dei collegamenti ferroviari con gli aeroporti, sia mediante un più ampio ed efficiente utilizzo delle linee esistenti, sia mediante un potenziamento infrastrutturale, che vedrebbe coinvolta Rete Ferroviaria Italiana, a propria volta controllata da FS. È chiaro che una migliore accessibilità agli aeroporti genererà un vantaggio per i consumatori. Tuttavia, tale risultato avrebbe potuto essere raggiunto anche tramite accordi tra società private distinte, e quindi senza impatto sulla concorrenza. Invece, se è (in parte) la stessa società a gestire i collegamenti ferroviari e i voli, il prezzo dell’integrazione può consistere in seri problemi di concorrenza, che andrebbero vagliati con attenzione dall’Autorità Antitrust.
Si potrebbero infatti creare presupposti per favorire, nell’accesso ferroviario all’aeroporto, orari compatibili fra Trenitalia e Alitalia, con potenziali danni per i concorrenti, e quindi per i cittadini.
Inoltre, l’integrazione verosimilmente ridurrebbe la concorrenza sulle tratte in cui il treno e l’aereo competono direttamente, cioè prevalentemente su varie tratte di treno a lunga percorrenza per le quali esiste un collegamento aereo alternativo. E, se sulle rotte servite dall’alta velocità, quanto meno Trenitalia affronta la concorrenza di Italo, su quelle servite soltanto da Intercity la riduzione di concorrenza avrebbe conseguenze ancora più forti, con presumibili aumenti di prezzo che andrebbero a danneggiare i cittadini.
Un ruolo forte e duraturo di FS all’interno di Alitalia rischia dunque di avere serie controindicazioni. Anche il coinvolgimento di Delta o di Easyjet potrebbe averne alcune, specialmente sulla concorrenza nelle tratte aeree a lungo raggio nel caso di Delta e a medio raggio nel caso di Easyjet. Presumibilmente, tuttavia, si tratterebbe in entrambi i casi di controindicazioni di molto minor rilievo. Sarebbe quindi opportuno che il ruolo di FS fosse temporaneo, e finalizzato esclusivamente alla gestione della fase di transizione verso un nuovo assetto proprietario in grado di assicurare redditività senza minare la concorrenza.