Fabrizio Corona e Asia Argento, Matteo Salvini ed Elisa Isoardi, Fedez e Chiara Ferragni sono solo alcuni nomi di coppie o non più coppie che raccontano come nel nostro paese cambino le fasi politiche, si avvicendino le repubbliche, ma il gusto un po’ morboso per il gossip e il pettegolezzo non tramonti mai.
La domanda che va posta, però, al di là di ogni moralismo, è che cos’è diventato l’amore in questo inizio secolo, a che cosa è stata ricondotta la sessualità in questo cambio d’epoca che stiamo vivendo. Non basta dire che l’avvento dei social ha reso i sentimenti, e la fame di sentimenti, funzionale ad un indotto commerciale o politico: da sempre ogni sistema ha i suoi Elena e Paride che si rispettino, da sempre la narrazione di una storia — lo storytelling — è fondamentale per veicolare un’idea, un concetto, un brand: che si sia elettori o follower poco importa, dal momento che tutto è in fondo trasformabile in un bene di consumo da far fruttare con pazienza e cinismo.
Il punto è un altro: oggi i legami tendono a trasformarsi sempre di più in tane dentro le quali rifugiarsi, il sesso stesso assurge a bene rifugio per evitare la fatica della relazione, del laborioso impegno quotidiano che due persone devono mettere in campo per trovarsi, per volersi bene. Lo stesso matrimonio, molte volte anche nel campo di storie dal forte afflato religioso, finisce per diventare la fine dell’avventura stupenda che è la ricerca di sé: in quante occasioni il fatto di sposarsi chiude — per sempre, ingenuamente si crede — tutte le domande su di sé. Un film di qualche anno fa, dall’emblematico titolo Le vite degli altri, raccontava la storia di una spia della DDR che nella Berlino degli anni ottanta era incapace di vivere la propria vita, cibandosi — attraverso lo spionaggio — delle vite degli altri. Il rapporto affettivo oggi, al pari del gossip, spesso non è altro che la spia dell’incapacità di vivere e di stare nella propria vita: finiamo per sposare qualcun altro, o per seguire la vita di qualcun altro, perché non siamo stati capaci di sposare noi stessi, di andar dietro alla nostra vita.
C’è però un’ultima radice di tutto questo: il tempo, infatti, presenta avidamente il suo conto e molti rapporti esplodono — davanti ad un dolore o ad una crisi — perché scoprono, magari inconsciamente, questo mancato matrimonio con sé, questa mancata strada nei confronti della propria vita e del proprio desiderio.
Ed è su questa parola, desiderio, che è giusto chiudere: mentre ascoltiamo le storie di Salvini e della Isoardi, o di Corona con Asia Argento, è come se percepissimo che la passione, la stima, perfino l’amore, in qualche modo non sono stati spunto, spinte, ad andare più a fondo, ad andare fino al desiderio. Io non temo un amore sbagliato, io temo un amore che non mi conduca alla radice del desiderio che ho e che sono, del bisogno radicale di amore che mi porto appresso.
In un tempo in cui tutti i desideri sono subitaneamente soddisfatti, a morire sembra essere proprio il desiderio. Quasi avessimo paura di stare in sua compagnia, timorosi di ascoltare che cosa esso ci racconta, che cosa esso ci dica sulla vita e sull’insufficienza per il cuore di ogni cosa perfetta. In un tempo di desideri, insomma, la storia d’amore sembra essere diventata il bavaglio con cui ammutolire il desiderio. Il modo, nemmeno troppo velato, di impedire al cuore la ricerca del Bene, la ricerca della Verità.