G20 meno 18: che non è la temperatura che si è registrata in questi giorni a Buenos Aires, dove sì faceva freddo nonostante la stagione, ma non a quelle gradazioni. È un po’ il succo di una riunione che verrà immediatamente seguita da un bilaterale tra Usa e Cina, che in pratica è iniziato qui con una prima riunione, e che sancisce credo definitivamente la fine del concetto di questo evento globale. Che verrà ricordato non solo per le smargiassate di Trump con Macri (una prima volta si è tolto la cuffia e l’ha gettata a terra maleducatamente, poi ha mollato il Presidente argentino solo sul palco di ricevimento ospiti) o la stizza di Putin nei confronti del Presidente americano e il saluto amichevole all’Emiro Saudita, ma soprattutto perché il segnale fortissimo è arrivato dalla Cina, vera potenza mondiale che pure dispone ora di una tecnologia superiore per certi versi a quella americana.
Così quello che il G20 ha mostrato è che ormai il resto del mondo, dove si è risaltata la debolezza della Ue e quella di una Russia che non riesce a uscire dall’enigma delle sue politiche, fa solamente da spettatore a questa ennesima diatriba commerciale per conquistare il pianeta. Già Cina e Usa hanno qui raggiunto un parziale accordo sulle accise che Trump aveva applicato sull’acciaio cinese, e la cosa, come ribadiamo, proseguirà a breve con altri accordi: ma il succo del discorso è che ormai il mondo guarda alla Cina come potenza di riferimento.
Per il resto poco da aggiungere: il documento finale siglato dai 20 non dice praticamente nulla di nuovo, solo il fatto che bisogna cambiare le regole della Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio), cosa che finalmente si è scoperta dopo il fiasco della riunione globale dell’organizzazione due anni fa proprio a Buenos Aires, dove non si decise nulla. Per il resto buio pesto, ribadendo la divisione dell’accordo mondiale sul clima di Parigi, con gli Stati Uniti sempre fuori.
La cosa più bella che si è vista nelle due giornate del simposio è stato lo spettacolo al Teatro Colon allestito in onore dei partecipanti. Funzione incentrata nel mostrare le bellezze della terra argentina e il suo popolo: chissà se ai 20 potenti presenti non sarà per caso venuto in mente che proprio molti dei loro avi dovettero venire qui per la fame, risultato di guerre e situazioni di miseria. E che proprio qui riuscirono a costruirsi una vita degna in base a tre principi: pace, solidarietà e lavoro.
Valori su cui il mondo, se vuole veramente costruirsi con un benessere comune, deve ricominciare a vedere e trattare con grande serietà, puntando decisamente su un fattore che sembra svanito in questi giorni: l’essere umano, la sua dignità e i suoi diritti.
Macron è tornato in fretta a Parigi, dove l’aspettavano i giubbotti gialli (ironia della sorte il premier francese è stato accolto al suo arrivo da un tecnico aeronautico che vestiva proprio questo indumento), la Merkel deve gestire la crisi della Germania, Conte e Tria il conflitto con l’Ue, organismo che dovrà per forza cambiare le sue politiche, orientandole decisamente sul sociale e lo sviluppo, basandosi sul Manifesto di Ventotene, se non vuole che il futuro gli riservi un posto di mero comprimario del palco globale. Perché i segnali lanciati nei tre giorni di Buenos Aires sono quelli di un pianeta che non sa più confrontarsi e discutere seriamente.