Cosa ci fanno un giornalista ragazzino, inviato da Rolling Stone, e un fotografo/accordatore di chitarre sul bus personale di Neil Young? Uno si chiama Cameron Crowe, è il più giovane giornalista musicale d’America ma è già la penna di punta della più importante rivista musicale; l’altro si chiama Joel Bernstein, fa il fotografo ma anche l’accordatore di chitarre per gente come Bob Dylan e lo stesso Young. Quando non sono sul bus, corrono nel più vicino negozio di hi-fi e comprano tutte le cassette C-90 che riescono a trovare, in qualunque città si trovino.
Erano tempi quelli, in cui tra musicisti, giornalisti, membri della crew non esistevano pannelli di separazione. Erano i tempi in cui le star non erano ancora circondate da gigantesche guardie del corpo, avvicinarsi ai bus dei musicisti non rischiavi le mazzate, i giornalisti erano invitati a seguire il tour per intero e non lasciati fuori del camerino e insultati se osavano avvicinarsi. Era ancora il tempo di “music is for free, music is love”, erano tutti una sola comunità di giovani che condividevano l’amore per la musica. Un tempo che probabilmente finì proprio con quel tour di Neil Young nel novembre 1976. Non è casuale che l’artista avrebbe compiuto 31 anni proprio in quei giorni, passando quella linea temporale che qualche anno prima faceva dire “non fidarti di chi ha più di trent’anni”. Un tour che chiuse l’epoca d’oro della musica rock. Dopo, ognuno, per dirla alla Vasco Rossi, si sarebbe perso per i fatti suoi col naso sprofondato in montagne di cocaina, ville a Malibu o alle Hawaii e conti in banca da paura.
Ma allora Cameron e Joel potevano ancora avvicinarsi tranquillamente al mixer e infilarci dentro una delle cassette appena comprate: “Mi resi subito conto che realizzare questi nastri era una grande idea” , ricorda Bernstein. Nastri pensati per il ricordo personale dei due, inevitabilmente finiti in mani altrui e quindi su bootleg che sono girati da allora nel mercato clandestino. Adesso il meglio di quelle registrazioni diventa ufficiale grazie a Neil Young stesso, in qualità sonora eccellente. Se per qualcuno può essere una pecca, la voce del cantante che rimane un po’ indietro rispetto alla chitarra acustica e al pianoforte, questo leggero eco dà invece ancora di più il senso di coinvolgimento dell’ascoltatore, che si sente trasportato letteralmente nelle hall dove i concerti vennero registrati.
Per Young, dopo gli anni bui della cosiddetta trilogia del dolore, era un periodo di transizione, nel giro di un paio di anni sarebbe diventato un fan del punk con la micidiale bordata di Rust never sleeps. Lo si capisce anche dalla (straordinaria) scaletta proposta nel set acustico dei concerti che nella seconda parte vedevano Young con i Crazy Horse, forse i migliori concerti fatti con il suo gruppo spalla preferito.
Nella prima ora invece sfilavano brani addirittura dal suo esordio solista come Old Laughing Lady o Here we are in the years, dei Buffalo Springfield come Mr. Soul, i mega successi come Harvest, After the gold rush (dedicata a “tutte le autostrade del Texas”) e Heart of Gold, gli allora inediti come Too far gone, Human Highway (al banjo) o Pocahontas, le melodie tristi di Journey through the past. Insomma una panoramica totale della sua carriera fino a quel punto, come non avrebbe più fatto.
Neil Young è in forma altissima, forse al suo picco come solista, è evidente il piacere con cui si esibisce: all’inizio di A man needs a maid tira fuori dall’organo la intro di Like a hurricane quasi irriconoscibile, come a prendere in giro gli ascoltatori, che l’avrebbero ascoltata nella sua furia onirica durante il secondo set con i Crazy Horse.
Il tutto sotto lo sguardo di Judy Garland, a cui dedica un monologo sconclusionato in cui invoca la protagonista del Mago di Oz. Judy Garland che appare anche in copertina, in un bel disegno eseguito dalla nuova moglie, Daryl Hanna.