L’allarme di Fitch è solo l’ultimo di una lunga lista di istituzioni, organi e realtà economiche che ravvedono nella Manovra italiana e nelle stime di crescita del Governo gialloverde non solo “qualcosa che non torna” ma un vero e proprio allarme per l’immediato futuro. L’agenzia di rating ha deciso di tagliare le stime di crescita del nostro Paese per l’anno 2018 e per il 2019: Fitch ha di fatto limato dall’1,2% della stima precedente all’attuale 1%, con una previsione per il 2019 che cala fino all’1,1%. Insomma, tutto l’opposto di quel 1,5% lanciato dal Ministro Tria nel Def che già aveva attirato le critiche della Commissione Ue, dell’Istat e degli stessi mercati finanziari (con l’aumento immediato dello spread, ndr). «Alla luce della incertezza politica domestica e dei timori per il commercio globale», Fitch decide così di tagliare le stime dell’Italia all’interno del Global Economic Outlook dove il gruppo esprime forti dubbi sul fatto che l’allentamento fiscale possa spingere il Pil Italia verso cifre positive.
L’ITALIA NON CRESCE PIÙ: E NON LO DICE SOLO FITCH..
Già lo scorso settembre Fitch aveva rivisto al ribasso le stime della crescita Italia ma ora si è vista “costretta” a rimettere mano alla cifre perché la situazione è tutt’altro che rosea: «Ci sono maggiori chance di una spinta agli investimenti pubblici nel 2020 ma anche in questo caso abbiamo rialzato le nostre previsioni sul Pil solo dello 0,1%, portandole all’1% (in precedenza erano allo 0,9%, ndr). La ragione principale per attenuare i benefici di una politica fiscale più morbida sull’economia è legata al recente aumento della volatilità nel mercato dei bond, che sta aumentando l’incertezza degli investimenti e iniziando a irrigidire le condizioni di credito». La stessa agenzia Fitch ha ricordato come «il raffreddamento della domanda di export peserà sull’industria, dove gli ordini domestici sono stati deboli quest’anno»: non solo, il terzo trimestre 2018 ha registrato una prima frenata dopo 14 trimestri sempre in crescita consecutiva. Ad essere preoccupato per la crescita del nostro Pil però non arriva solo dall’esterno, ma anche l’autorevole Ministro per agli Affari europei Paolo Savona afferma come l’Italia «non può attendere la lenta transizione che nel 2019 porterà a un nuovo parlamento europeo, a una nuova Commissione e a un nuovo vertice della Bce perché deve fronteggiare i rischi di una recessione produttiva e quindi il nostro dovere è agire».