In Canada, su richiesta degli Stati Uniti, è stata arrestata Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei e figlia del fondatore. L’accusa parla di violazioni alle sanzioni americane contro l’Iran. Non si è fatta attendere la dura reazione di Pechino, che ne ha chiesto l’immediata liberazione. L’arresto della Wanzhou rischia di scatenare una crisi diplomatica tra i due Paesi? Potrebbe far sfociare le attuali tensioni in campo commerciale in un conflitto più geopolitico? E in questo nuovo contesto, che cosa rischiano Europa e Italia? Lo abbiamo chiesto a Francesco Sisci, editorialista di Asia Times.
Partiamo dall’arresto della Wanzhou. Che cosa significa questa decisione americana?
La Wanzhou è accusata di aver violato l’embargo americano all’Iran, secondo cui Paesi stranieri non possono esportare in Paesi soggetti a sanzioni americane prodotti con contenuti americani. Quindi, tutta la tecnologia cinese che dipende da chip Usa, da oggi in poi, dovrà seguire le sanzioni americane. Finora la misura non era stata applicata: ora si cambia registro.
E’ questo il vero motivo o la decisione cela altre motivazioni?
Onestamente non so se sia vera o no l’accusa, questo lo stabilirà il corso della giustizia. Certo, sembra comunque far parte di un’idea più ampia: ricordare alla Cina, in modo deciso, che l’America non intende mollare sulla questione delle trattative commerciali. L’arresto, infatti, è avvenuto nelle stesse ore in cui i due presidenti, Donald Trump e Xi Jinping, si incontravano al G20 a Buenos Aires e si accordavano per una tregua di tre mesi nella guerra commerciale. Quindi il segnale americano è chiaro: la tregua non è una pace e alla fine dei 90 giorni se non saremo soddisfatti con quello che Pechino ci offrirà lo scontro andrà avanti.
Alcune aziende cinesi, tra cui appunto Huawei, sono accusate di spionaggio. Quanto c’è di vero?
Difficile rispondere, non sono un tecnico. Di certo c’è una dimensione dello scontro globale che non appare spesso nel mondo delle informazioni: lo scontro sul cyber è un terreno in cui molti Paesi, tra cui sia l’America che la Cina, sono estremamente attivi e hanno posizioni molto diverse. Inoltre, una delle accuse che Washington rivolge alla Cina riguarda proprio lo spionaggio industriale e militare, attuato attraverso il cyber. Huawei, in questo campo, secondo gli americani gioca un ruolo cruciale.
In che modo?
Sarebbe in grado di fornire entrature speciali alla penetrazione illecita cinese. Naturalmente è anche una guerra in cui c’è in palio il primato nelle tecnologie. E qui i problemi sono connessi e direttamente rilevanti sul campo militare, perché in teoria si può attaccare e distruggere un Paese solo attraverso il cyber.
La notizia dell’arresto arriva a pochi giorni dall’incontro al G20 di Buenos Aires tra Trump e Xi, in cui è stato trovato un accordo temporaneo sui dazi. Lo scontro, da commerciale, potrebbe a questo punto diventare geopolitico e militare?
Per ora no, c’è una tregua. Ma il segnale chiaro è che in futuro ci potrà essere un’escalation e l’America è pronta a ogni opzione. Quindi, resta decisamente una situazione molto delicata. Ma se la Cina in questo momento non reagisce sullo stesso piano, significa molto probabilmente che Pechino vuole evitare lo scontro diretto e venire incontro alle richieste americane. Potrebbe essere un motivo di speranza.
La Cina è impegnata in due grandi strategie globali: China 2025 per la supremazia mondiale in campo industriale e tecnologico, e la Nuova via della seta. Un eventuale scontro con gli Usa potrebbe anche coinvolgere l’Europa e l’Italia, che potrebbero essere indotte a mettere in discussione eventuali accordi con Pechino, boicottando di fatto la riuscita dei progetti cui la Cina tiene moltissimo?
Europa e Italia sono già coinvolti in questo scontro, anche se a Roma spesso non se ne rendono conto. La Cina, a Roma, è considerata solo uno sbocco commerciale, ma quella fase sta finendo o è già finita. L’Italia dovrebbe forse farsi carico di trovare un nuovo spazio politico per ingaggiare la Cina e favorire un esito pacifico dello scontro in atto con gli Usa. Ma per questo servirebbero conoscenze e attitudini che oggi forse in Italia non ci sono.
(Marco Tedesco)