L’invito al Viminale a prendere un caffè – dodici per la verità, quanti sono i presidenti delle associazioni imprenditoriali che hanno manifestato a Torino in favore della Tav, delle infrastrutture strategiche, della crescita – segna un cambio di passo nei rapporti tra il mondo dei produttori e il Governo. Una parte del Governo, sarebbe meglio dire, perché a rompere gli indugi è il capo della Lega, nonché vicepremier, nonché ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che dopo uno scambio di battute con il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia smette la maschera del truce per indossare quella del cordiale padrone di casa.
E qui, certo, appare un’anomalia, perché il faccia a faccia con i protagonisti dell’economia reale non avviene esattamente nel luogo deputato e con l’interlocutore istituzionalmente giusto. Ma in questi tempi di grandi cambiamenti e nuove conquiste è l’ultima stravaganza di cui preoccuparsi. D’altra parte, il Capitano del Carroccio sa bene che cosa chiedono le imprese per investire e svilupparsi e creare posti di lavoro. Lo sa bene attraverso la rete di governatori e sindaci che guidano le più ricche regioni e i comuni più promettenti del Nord, dove i leghisti si sono fatti la fama di buoni amministratori locali.
Il gioco tentato finora di fare da sponda alle imprese sui territori e di disimpegnarsi a Roma per non dispiacere agli alleati grillini non può reggere ancora a lungo. Anche perché proprio quei sindaci e quei governatori hanno fischiato la fine della ricreazione ricordando al grande capo chi sono i propri elettori. In gran parte, cioè, esattamente il popolo dei produttori che si è messo in movimento dopo aver dovuto ingoiare il Decreto dignità, il taglio delle misure di Industria 4.0 e del credito d’imposta, la messa in discussione delle grandi opere necessarie a modernizzare il Paese e a dare una frustata all’economia.
E nemmeno vale più il tentativo di dividere il campo delle imprese tra grandi e piccole – con le grandi attribuite a Confindustria, cattive per definizione, e le piccole buone per differenza – perché i firmatari del documento di Torino rappresentano tutte le taglie possibili e l’intero arco delle categorie produttive. Industriali, commercianti, artigiani, agricoltori, cooperatori, costruttori: a ricordare al Governo che le imprese sono il nerbo di una società libera e potenzialmente ricca è un raggruppamento mai visto prima d’ora che mette insieme perfino associazioni in teoria concorrenti.
Di più, il giorno successivo alla manifestazione di Torino – dove, giova ricordarlo, si sono dati appuntamento tremila imprenditori espressione di 3 milioni di aziende e 13 milioni di addetti rappresentativi del 65 per cento del prodotto nazionale – hanno bussato alla porta altre organizzazioni desiderose di fare corpo. La potente Federazione del Mare, gli artigiani della Claai, gli operatori della logistica e dei trasporti riuniti nella Confetra, i piccoli industriali di Confimpresa hanno fatto sapere di condividere contenuti e forma della protesta dichiarandosi disponibili ad aggiungersi al cosiddetto, impropriamente, partito del Pil. Il Viminale dovrà acquistare una caffettiera molto molto capiente.