Vi siete chiesti come mai, dopo tre settimane in cui l’ala spaccatutto dei “gilet gialli” ha potuto fare il bello e il cattivo tempo, sabato i Clouseau della situazione abbiano scoperto di colpo l’istituto del fermo preventivo, spedendo in guardina 272 persone ed evitando così che si recassero in centro a Parigi a spaccare tutto? Oltretutto, colpendo a colpo sicuro, visto che le azioni di prevenzione sono state compiute nella cintura suburbana della capitale, a ridosso delle banlieue più calde: non lo sapevano nelle tre settimane precedenti che i casseurs erano sempre i soliti noti che si infiltrano ciclicamente in ogni occasione di scontro e non c’entravano nulla con il grosso del movimento dei “gilet gialli”? Cos’è, hanno seguito un illuminante corso di aggiornamento in vista dell’8 dicembre? Un tutorial su YouTube ha aperto le loro menti e scoperchiato il vaso di Pandora dei segreti dell’intelligence?
Per favore, non prendiamoci in giro. È stata tutta una strategia preordinata, far crescere il movimento e il grado di violenza per testare il livello di accettazione di caos e relativa repressione dell’opinione pubblica. Giorno dopo giorno, weekend dopo weekend, devastazione dopo devastazione. E il test è riuscito, i blindati hanno sfilato per i viali eleganti del centro parigino. Come a Pristina. O a Kiev. E questo non ha creato allarme, né indignazione, pur sapendo tutti che i tre sabati precedenti la polizia ha lasciato fare, perché quel caos era propedeutico a interessi superiori. Ma nessuno si pone il problema, l’importante è che le violenze non turbino più lo shopping natalizio e le celebrazioni di fine anno. La gente non ha capito cosa la aspetta davvero, questa volta. L’establishment, quello vero, invece sì. E anche Emmanuel Macron, finto sconfitto della situazione, visto che il suo ruolo è questo e lo sta compiendo al meglio: traghettare il Paese verso la crisi, instaurando in maniera dolce, indolore e quasi benvenuta uno stato di emergenza perenne, di sospensione dello stato di diritto in nome della tutela della sicurezza pubblica.
Quando e se, decine di aziende francesi falliranno, perché incapaci di finanziarsi sul mercato o a condizioni accettabili presso il sistema bancario – sempre più in crisi, fra Npl, derivati e maquillage di bilancio di vario genere – e lasceranno a casa migliaia e migliaia di lavoratori, questi stessi potrebbero essere tentati – non avendo più nulla da perdere – di seguire la strada dei “gilet gialli”. Lo Stato lo sa, lo ha già messo in preventivo. E si è già preparato all’evenienza con una bella emergenza pret-a-porter e gonfiata ad arte, in modo tale che in nome del quieto vivere e della sicurezza nazionale l’Eliseo tornerà ad avere mano libera come durante i tre anni dello stato di emergenza proclamato dopo la strage del Bataclan. Ieri l’Isis, ora i “gilet gialli”: l’importante è far respirare paura alla gente. E quello status emergenziale, se non lo sapete, consente al presidente della Repubblica di bypassare il Parlamento e vietare manifestazioni di piazza per motivi, appunto, legati alla sicurezza del Paese. L’ideale per gestire una recessione come mai la Francia aveva vissuto e capace di scuotere alle fondamenta conti pubblici che ormai sono fuori controllo, in uno Stato che ha la pressione fiscale più alta d’Europa – quest’anno ha superato anche la Danimarca, storica numero uno – e che, soprattutto, vede proprio le entrate fiscali pesare per qualcosa come il 46,2% del Pil contro il 34,2% della media Ocse!
Pensavate che Emmanuel Macron fosse stato messo all’Eliseo per fermare il fascismo di Marine Le Pen? È accaduto il contrario, preparatevi alla Vichy della nuova crisi finanziaria. Nei salotti che contano, lontano dai teatrini patetici di Bruxelles, il copione era pronto da mesi e mesi. Quantomeno, dalle elezioni presidenziali francesi, indirizzate in tal senso a tavolino. E gli interessi attorno a quanto sta accadendo in Francia vanno ben oltre i confini Transalpini. Sabato, giorno della manifestazione tanto temuta, ne è stata la riprova. Palese. Quasi oltraggiosa, nel suo essere smaccata. Il Times di Londra, infatti, pubblicava con grande evidenza un articolo nel quale veniva denunciata l’attività di gruppi legati alla Russia nell’amplificare i messaggi via social dei “gilet gialli”, al fine di supportarne la lotta in chiave anti-Macron.
La denuncia partiva dallo studio compiuto da una società di cybersecurity, la New Knowledge, le cui analisi su 200 account monitorati dall’inizio delle proteste avrebbero rivelato l’attività sistematica di cosiddetti sock puppets, ovvero indirizzi situati in Occidente ma con legami a Est, il cui unico scopo è quello di inondare il social con messaggi di parte, fino a 1600 fra tweets e retweets al giorno, spesso anche fake news legate ai presunti eccessi della polizia nella repressione. Tesi sposata anche da un’inchiesta al riguardo compiuto dalla France Presse e largamente ripresa da media Usa come CNN e Fox News. In contemporanea, però, Le Monde pubblicava una articolo della sua corrispondente da Mosca, Isabelle Madraud, nel quale il giornalista di punta di Rossiya 1, Dmitri Kisselev, alimentava la tesi opposta: ovvero, i “gilet gialli” sono frutto della campagna di destabilizzazione europea degli Uda, una rivoluzione colorata esattamente come quella “arancione” sostenuta dal Dipartimento di Stato in Ucraina. Metteteci poi i tweet di Donald Trump in favore dei manifestanti, ovviamente declinati in chiave anti-Macron e anti-accordo di Parigi sul clima ed ecco che il quadro diventa quello dell’ennesima battaglia proxy delle grandi potenze egemoni straniere sul tappeto di gioco del Risiko europeo.
Il perché di questa concentrazione sulla Francia, poi ha avuto conferma sempre nel fine settimana, quando Angela Merkel è riuscita a fare eleggere per il rotto della cuffia a suo successore alla guida della Cdu, la fida alleata Annegret Kramp-Karrenbauer, sfidata nel contest finale dall’uomo del ministro dell’Interno, Horst Seehofer, il filo-statunitense Friedrich Merz, presidente del ramo tedesco di BlackRock, mega-fondo d’investimento statunitense. Lo stesso, per capirci, che Giuseppe Conte è andato a omaggiare nel suo ultimo viaggio-lampo negli Usa, sperando che possa sostituirsi alla Bce nell’acquisto di nostro debito pubblico dal 1 gennaio, quando finirà il Qe. Almeno, questa è stata la vulgata ufficiosa.
Chiaro il quadro, per quanto tracciato per sommi capi? Vi rendete conto, al netto degli allarmismi più o meno interessati, di quali interessi strategici nei nuovi equilibri mondiali siano in gioco? L’Europa non è solo il mercato economico più ricco del mondo, è anche – nella sua area sud – la porta verso Mediterraneo e Medio Oriente. Ora c’è davvero da preoccuparsi, signori. Ora la palla passa nelle mani di Emmanuel Macron. O, meglio, dei suoi referenti occulti. Poi, dopodomani, toccherà a Mario Draghi decidere il destino a breve termine dell’eurozona, immagino in base a calcoli costi/benefici un pochino più seri di quelli del ministro Toninelli riguardo le grandi opere. Ma ormai siamo dentro Matrix, non si torna più indietro, la nostra forma mentis è ormai stata plasmata: venerdì scorso il Nasdaq è crollato ancora del 3%. Sui giornali o nei tg del giorno dopo, nemmeno un fiato. Non una parola. Non un titolino preoccupato o un’analisi minimamente critica. Solo l’allarme per il potenziale colpo di Stato ordito, via social e rendendo il tutto ben noto in anticipo, dai “gilet gialli”.
Verrebbe da ridere, ma resta comunque la certezza tutt’altro che divertente del bivio a cui siamo di fronte: o si salvano l’eurozona e l’euro o la democrazia e lo stato di diritto. Tertium non datur.
(2- fine)