“L’allegra brigata” di palazzo Chigi ha deciso di spartirsi le aree di influenza anche per quanto riguarda i rapporti con le forze sociali. Matteo Salvini ha convocato al Viminale (sic!) i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali promotrici della manifestazione di Torino, i quali, dopo aver avuto la garanzia che non sarebbero stati arrestati, non hanno esitato a recarsi, pentiti, dal Capitano a prendere un caffè. All’uscita è stato tutto un peana per l’uomo forte del Governo. Giggino Di Maio, dal canto suo, incontrerà – genericamente – il mondo della piccola impresa; ma si è reso conto di aver perso un colpo. Lui, superministro dello Sviluppo e del Lavoro, è stato bypassato dal suo collega degli Interni, il quale ormai gioca a tutto campo. Al premier Giuseppe Conte è toccato di intrattenere i sindacati.
I leader di quelle che furono le organizzazioni che – con la proclamazione di uno sciopero generale – provocavano una crisi di governo hanno salito, con rassegnazione, le scale della Presidenza del Consiglio, immedesimandosi nella stessa rappresentazione in cui era coinvolto lo stesso Conte: lui facendo finta di essere un capo effettivo del governo; loro di essere ricevuti dal presidente del Consiglio in persona, e non da un prestanome dei suoi vice. A quanto raccontano le cronache, a parte le scuse per aver ritardato la convocazione e la promessa di istaurare relazioni più frequenti, l’incontro non ha sortito alcun risultato utile, almeno dal punto di vista della Cgil. “Non siamo di fronte a impegni perché Conte ha solo ascoltato”, ha dichiarato Susanna Camusso. Più fiduciosa la Cisl: “Speriamo che ci possa essere una continuità nel confronto – ha detto Annamaria Furlan – e un’interlocuzione costante con il Governo su crescita e lavoro. È stato un incontro molto approfondito – ha commentato – e il premier ha ascoltato la piattaforma che abbiamo illustrato e che abbiamo discusso in questi mesi. C’è stata molta attenzione per le nostre proposte. Il presidente ha assunto l’impegno di avere in futuro un’interlocuzione più frequente con le organizzazioni sindacali. Un cambio di passo importante, significativo”.
Cambio di passo? Conoscevamo le doti di “fine dicitore” delle quali è maestro Giuseppe Conte che riesce a parlare a lungo e in modo forbito senza dire nulla. Abbiamo scoperto che è anche un provetto ballerino, pronto a “cambiare passo” al suono di una milonga argentina (una danza in cui si è cimentato in occasione del G20 di Buenos Aires, visto che non aveva altro da fare). Il 19 dicembre, Cgil, Cisl e Uil convocheranno una riunione unitaria dei Comitati esecutivi per valutare “il da farsi”. Già immaginiamo il tono del documento conclusivo, che conterrà certamente qualche invito perentorio al Governo di cambiare linea. Altrimenti sarà proclamato lo stato d’agitazione (guai a parlare di scioperi). Il fatto è che – in quel giorno – la manovra sarà ormai in dirittura d’arrivo al Senato, pronta per passare alla Camera per il voto finale. In fondo Natale è sempre Natale.
Insomma, in questa occasione le iniziative delle confederazioni storiche – eredi di grandi battaglie – stanno largamente al di sotto del minimo sindacale. E quel che è peggio, Cgil, Cisl e Uil sembrano essere consapevoli della scarsa considerazione di cui godono nel nuovo quadro politico. E di rassegnarsi al loro triste declino. La spiegazione è semplice, anche se è molto amara. I sindacati sono lo specchio del Paese: di un’Italia che, nel XXI secolo, non ha esitato ad affidarsi liberamente alle nuove edizioni ed espressioni di quella subcultura parafascista dal de cuius del quale (il Fascio del Ventennio) era stata liberata nel XX. E tale situazione non può non condizionare l’azione dei sindacati stessi. Non è un caso che Cgil, Cisl e Uil (“unite si temporeggia” è il loro slogan di oggi) assistano, imbelli, allo sfascio del Paese. Gran parte della loro base parteggia per gli sfascisti. E crede nelle loro promesse.