…E parlando di Isis, non vi pare strano che dopo una stagione di attacco all’Europa e la retorica allarmistica sui foreign fighters di ritorno a frotte da Iraq e Siria che avrebbero dovuto mettere a ferro e fuoco l’Ue, proprio nel momento di maggiore debolezza e tensione in Europa, il terrorismo islamico sia sparito dai radar? Quale migliore occasione che i disordini di piazza francesi per infiltrarsi e fare danni, oltretutto con il minimo di logistica richiesta? Eppure, nessuna intelligence ha posto il problema di possibili inserimenti dei jihadisti in contesti di tensione sociale per perseguire i loro fini palalleli di destabilizzazione. Avete notato? In Francia, poi, regno delle banlieue. O in Belgio, patria di Molenbeek, a detta di tutti gli analisti il santuario del jihadismo nel cuore d’Europa…
Non sono impazzito. Quelle che avete letto sono righe che facevano parte del mio articolo di ieri, tolte per rispetto di morti e feriti di Strasburgo martedì sera, quando ancora la dinamica non era del tutto chiara ma si delineava a grandi linee, seguendo il filone storico della destabilizzazione terroristica post-Bataclan. E della cui sospetta sparizione dalle strade d’Europa chiedevo appunto retoricamente in quelle righe. Le quali, ripeto, sono state tolte su mia richiesta solo per rispetto, conoscendo la rapidità con cui mutano gli scenari in situazioni simili. Non per paura di essere smentito clamorosamente dai fatti e doverlo ammettere. Altrimenti, se fossi quel tipo di giornalista, non lo starei facendo nemmeno adesso: quanto accaduto sarebbe rimasto un segreto fra l’ottimo Lorenzo Torrisi e me, al massimo qualche altro collega interno alla redazione. Ma nulla che filtrasse all’esterno. Faccia salvata. Non sono fatto così. Per un paio di motivi. Anzi, tre.
Primo, mi pare di aver dimostrato in questi anni passati insieme che, quando prendo una cantonata (ed eccome se ne ho prese), almeno ho la decenza di ammetterlo. Non faccio finta di niente, né accampo scuse strane: dico che ho sbagliato e chiedo scusa, la perfezione non è di questo mondo. Tantomeno del sottoscritto. Secondo, quanto accaduto a Strasburgo rafforza in me quel pensiero. Anzi, lo amplifica. E questo mi fa gelare il sangue. E a proposito di sangue gelato, terzo: dovevo e potevo essere anch’io a Strasburgo martedì sera, insieme agli altri colleghi che penso abbiano vissuto la peggior serata della loro vita. E ad Antonio Megalizzi, che è rimasto ferito e cui va il mio abbraccio più profondo. Come sempre accade quando si organizzano visite per la stampa in vista di una plenaria, l’Ufficio di informazione in Italia del Parlamento europeo mi aveva inviato l’invito per la tre giorni a Strasburgo. Mi ha “salvato” la pigrizia sopravvenuta con i problemi di salute avuti a inizio anno: ho soprasseduto, anche se il Nord Europa sotto Natale mi ha sempre affascinato.
A Strasburgo sarei tornato volentieri, anche solo per cambiare aria. E ve lo dico sinceramente, ci fossi andato, con ogni probabilità sarei stato a quel mercatino, compatibilmente agli impegni di lavoro. Pensate che questo abbia fatta cambiare il mio modo di vedere le cose, che mi abbia fatto mettere in dubbio quelle frasi che ho preferito – sul momento – omettere dal mio articolo di ieri, ma che ho ritenuto giusto riproporvi oggi? No. Anzi, sono sempre più convinto che ci sia qualcosa di pericolosamente rotto nel sistema in cui stiamo vivendo. Ed è meglio saperlo, prenderne atto. Altrimenti, si diventa facilmente preda dell’allarmismo strumentale. Si diventa schiavi della paura, si perde lucidità di analisi. In ultima istanza, si diventa sudditi, animali da cortile delle concessioni, non cittadini. Quando ho scritto quelle frasi, dentro di me, sapevo che stavo esorcizzando una certezza che covavo nel cuore: ero certo, stante il livello di pericolo che l’eurozona sta affrontando e il grado di tensione destabilizzante in atto, senza precedenti dall’Italia alla Francia alla Gran Bretagna, che il feticcio dell’Isis, dell’estremismo islamico, del terrorismo che colpisce al cuore l’Europa, sarebbe risaltato fuori a orologeria. E così è stato.
Certe dinamiche, ormai, sono scontate come un paio di sci ad agosto o un condizionatore a novembre. Solito copione: delinquente comune, radicalizzato in galera, noto a polizia e servizi di sicurezza e bollato, per questo, con la lettera “S” sul dossier criminale. Addirittura, doveva essere arrestato martedì mattina, il giorno dell’attentato. Hanno fatto irruzione a casa sua, ma hanno trovato solo delle armi, fra cui granate: lui era già latitante. Per poco, perché la sera è riemerso dall’ombra e ha colpito al cuore, nel centro cittadino, nell’affollatissimo mercatino di Natale (grazie al cielo, non così pieno, trattandosi di in un giorno feriale). Perché, sapendo che un pericoloso latitante era in circolazione e probabilmente con un piano da compiere, cui il blitz del mattino ha impresso giocoforza un’accelerazione, non si è chiuso il mercatino, bersaglio privilegiato insieme all’Europarlamento e alla vicina Cattedrale? Non si voleva turbare l’atmosfera natalizia e gettare nel panico la gente? Meglio il panico o i morti e i feriti? O magari si dava per certo il fatto che il blitz lo avrebbe fatto desistere dal suo intento? In questi casi, non si ipotizza. Perché le ipotesi uccidono.
Mentre scrivo, l’attentatore è ancora latitante. Pare ferito a una mano. Non so se lo arresteranno vivo o se morirà come quasi tutti gli altri, a parte Salah Abdelslam, l’uomo che fuggiva nascosto negli armadi durante i traslochi: poco importa, a questo punto. So che è fuggito dal luogo dell’attentato in taxi, però, ovviamente dopo aver gridato il rituale “Allah Akbra”. Magari lo ha anche pagato, il taxista. So che un terrorista che deve compiere un attentato, non rischia di farsi beccare e mandare tutto a monte per fare una rapina pochi giorni prima, motivo che invece aveva fatto scattare la perquisizione del mattino nel suo alloggio. So che devi essere Mandrake per superare il confine, se sei solo, ferito, a piedi (dubito abbia scelto l’espatrio in taxi), con le frontiere blindate e qualche centinaio di poliziotti che ti sta dando la caccia. Oppure, puoi godere di una rete di supporto di livello straordinario. Molto, molto straordinario. Quasi istituzionale. O militare.
Perché se il blitz mattutino ha accelerato il piano dell’attentato, significa che quella rete è in grado di attivarsi ai massimi livelli praticamente in tempo reale, anche con cambi di piano criminale quasi dell’ultimo minuto. Viene da pensare. Ma viviamo ormai nel mondo governato dal caos. E dobbiamo aver paura di questo, non dei matti che sparacchiano e ammazzano in nome di Allah. Quelli, in numero più o meno ampio, ci saranno sempre, è inevitabile. E sicurezza e prevenzione possono arrivare fino a un certo punto: se un singolo soggetto, un lupo solitario, si procura una pistola o prende un coltello dalla cucina e decide di uscire a fare una strage alla fermata del bus, al bar o al supermercato, non c’è intelligence che tenga. Non si può prevenire e prevedere tutto. Questo caso, però, forse sì. Come alcuni altri, tutti accaduti tra Francia e Belgio. Ma, soprattutto, si poteva prevedere il timing, visto che ci ero arrivato io, pur attraverso la formula quasi psichiatrica della negazione esorcizzante del fenomeno.
Era nell’aria, signori. Per il semplice fatto che la stessa si era fatta da pesante addirittura irrespirabile e occorreva l’evento unificante, dopo settimane di choc sempre più divisivi e traumatici per un’Europa sull’orlo del collasso, politico ed economico. Già, perché proprio oggi Mario Draghi sarà chiamato a dire una parola di verità non tanto e non solo sulla fine ufficiale o meno del Qe, bensì sullo stato di salute dell’eurozona, per troppi mesi e trimestri negato e nascosto come la polvere di verità sotto il tappeto della narrativa della ripresa sostenuta, sostenibile e sincronizzata a livello globale. Ora, nell’arco di pochi mesi, siamo passati dai cieli azzurri alla quasi certezza, pubblicamente e generalmente ammessa e riconosciuta, di fine del ciclo conclamata e fase già pre-recessiva in atto. A livello globale, Usa del miracolo in testa, altrimenti perché tutte le banche d’affari sono concordi nel dire che dopo la riunione di dicembre, la Fed fermerà il rialzo dei tassi per tutto il 2019? In due mesi, tutto cambiato! Vi pare credibile?
E vi pare credibile che nessuno avesse avuto mezza avvisaglia di allarme al riguardo, nonostante i campanelli suonati e i canarini nel frattempo morti nelle varie miniere di tutte le asset-classes finanziarie e dei dati macro? Sta saltando tutto, signori. E con una tempistica incredibile, perfetta: proprio alla vigilia del restringimento quantitativo delle politiche monetarie (Fed che già rialza i tassi, Bce che doveva farlo a partire dalla prossima estate e Bank of Japan che da aprile prossimo dovrebbe abbassare strutturalmente il controvalore di acquisti) e con le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo più importanti di sempre a soli cinque mesi. E non basta, a poco più di tre mesi dal Brexit e con l’epicentro della crisi dell’eurozona spostatosi, quasi senza accorgersene e in un battito d’ali, dalla nostra ciclica criticità debitoria al corpaccione formalmente sano, almeno stando allo spread, addirittura della Francia. E con il Pil tedesco in contrazione nel terzo trimestre. L’asse renano che ha retto l’Europa è in frantumi.
Se vi avessero prospettato, solo prima dell’estate, uno scenario simile, avreste chiamato il 118, dite la verità. Ora è realtà, pur se dissimulata e filtrata attraverso il percorso distorsivo della percezione, mediatica e social. Da quanto tempo però io vi dico che era in atto un’enorme pantomima globale e che, al netto di tutte le criticità, l’unico, enorme problema da risolvere era quello di dare una risposta all’ormai innegabile e ingestibile dipendenza di economie e mercati dai tassi a zero e dal denaro gratuito delle Banche centrali? Il problema è il debito, pubblico e privato, cresciuto a dismisura, quando invece il 2008 e la crisi Lehman avrebbero dovuto insegnarci il contrario. Di fronte a uno scenario simile, quanto accaduto a Strasburgo assume una sua lucida, paradossale, kafkiana, spaventosa logica: era il tassello mancante, quello che definisce il quadro generale e lo rende spendibile/vendibile, al mosaico dello stato di emergenza permanente necessario a mantenere in vita lo status quo, il sistema per quello che è.
L’ho scritto nel mio articolo di ieri: o si salvano eurozona ed euro o i diritti civili e la democrazia. Almeno in questo momento. Tertium non datur, non a caso fioccano appelli all’unità, alla nascita dell’Fbi europea (quando per evitare Strasburgo sarebbe bastato il buonsenso di un vecchio commissario di strada anni Settanta), all’Ue come unico corpo di appartenenza in grado di difenderci in un mondo di pericoli e minacce troppo grandi per essere affrontate come singoli Stati. Siamo danni collaterali della nostra epoca e del sistema che, formalmente, contestiamo. Strasburgo rischia di diventare, a suo modo, un altro Whatever it takes. Paradossalmente, cinicamente e orribilmente più importante addirittura dell’originale.