L’evento più rilevante della settimana europea che si è conclusa è la decisione del Senato Usa, su proposta dei democratici Bernie Sanders e Mike Lee e il sostegno di Lindsey Graham, di approvare una risoluzione che chiede la fine del coinvolgimento americano nella campagna militare Saudita contro lo Yemen e una mozione che dichiara il principe ereditario Mohammed bin Salman responsabile dell’omicidio del giornalista dissidente Khashoggi. Ingenerando, così, la possibilità il prossimo anno di una nuova risoluzione che tagli i fondi militari ai sauditi. Già Obama aveva garantito sostegno alla campagna contro lo Yemen — sotto forma di armi, tecnologie e condivisione di intelligence — senza mai passare per l’approvazione del Congresso.
Si tratta del primo voto in 45 anni in cui il Senato fa riferimento al War Power Act, legge approvata dal Congresso Usa durante la presidenza Nixon per far ritirare le forze statunitensi dal Vietnam. Quella legge, del 1973, ha dato ai deputati e ai senatori il potere di dichiarare guerra e ritirare le truppe nel caso di mancata autorizzazione, restringendo dunque l’autorità di un Presidente costretto a passare per il Parlamento. La Camera del prossimo anno, dopo il midterm, sarà a maggioranza democratica ed è molto probabile che la risoluzione trovi anche in quella sede l’approvazione. Ma, certamente, è altrettanto probabile che Trump ponga il veto.
Tutto questo mentre i colloqui tra i ribelli Huthi e il governo yemenita filo-Saudita per un cessate il fuoco continuano in Svezia per il secondo round di negoziati sponsorizzati dall’Onu. Il primo round si è concluso con un risultato inatteso: il cessate il fuoco sulla città portuale di Hodeidah, il centro del conflitto che ha gravissime conseguenze umanitarie per le carestie e le morti dei civili.
Vi chiederete cosa c’entri questo con l’Unione Europea. È rilevante perché di fatto indebolisce gravemente la leadership di Trump. È stata la Cia a relazionare al Senato sulla tragedia umanitaria e questa relazione si aggiunge alla rottura esistente tra il segmento dell’establishment Usa favorevole a Trump e tutto il resto del deep state nordamericano, che vede l’Fbi capofila nella richiesta di ritornare in fondo all’era Bush e Obama. Un’era di pericolosissimo unilateralismo, quando l’Occidente è stato diviso dalla guerra in Iraq con Francia e Germania che si rifiutarono di partecipare a quel disastroso intervento che segnò l’inizio del terrorismo di massa wahabita e jihadista e diede poi il fuoco alle polveri con il discorso di Obama al Cairo.
Il bilateralismo di Trump e il suo tentativo di una entente cordiale internazionale per assicurare un roll back contro la Cina, Paese che si sta armando e che sta dilavando le fonti tecnologiche occidentali, è stato messo in discussione da un ritorno, di fatto, alle ideologie dei seguaci di Leo Strauss, i “neocon”, che facevano dipendere le scelte di politica estera dai principi morali, secondo, del resto, una secolare tradizione Usa che risale ai padri fondatori. Trump rischia l’impeachment? Sì, se ne farà un processo lungo e terribile. Tutto questo colossale sbandamento internazionale dipende sostanzialmente — certo — dalle radici degli alberi della foresta Usa, ma altresì dalla savana dell’Unione Europea, che da circa trent’anni si dedica metodicamente a sradicare con la sua gramigna gli alberi europei, distruggendo con il principio della dipendenza monetaria funzionale da divieto del debito pubblico le fondamenta stesse della grandiosa foresta costruita nei secoli e nei secoli dagli europei dopo la morte di Carlo Magno e dopo il Trattato di Verdun dell’843.
Di quella foresta non sta più rimanendo nulla. Certo non solo essa crolla con fragore in Francia sotto la disgregazione sociale che fa seguito al potere verticale presidenziale che si trova incapace di adempiere ai principi auspicati con l’elezione di un Presidente con il solo 26 per cento degli aventi diritto al voto, ma con una necessità di far saltare ogni parametro ordoliberista, alias Fiscal compact. Di lì il disvelamento — questo sì fatto storico quanto la dichiarazione del Senato Usa — dei rapporti di potenza che la tecnocrazia eurocratica non riesce a nascondere.
Mi riferisco alle dichiarazioni del commissario Moscovici: un patriota francese che è occasionalmente commissario europeo e che dichiara candidamente che le regole che valgono per l’Italia rispetto al famoso debito non valgono per la Francia. Notizia che non stupisce uno studioso serio e non prezzolato che sa che il funzionalismo non ha fatto altro che nascondere e non eliminare gli squilibri di potenza nazionali. Questo fatto è forse quello più rilevante non di questa ultima settimana ma dell’intero 2018 per coloro che vogliono ritornare all’analisi scientifica e non ideologica della realtà europea.
In questo contesto un altro evento importante: la diffusività comprovata della capacità dell’ordoliberismo di cooptare seguaci catturando ideologicamente per la pressione dell’ambiente gli homines novi dal basso per farli salire su su nella cuspide del potere. Per effetto, si badi bene, non di motivi pecuniari ma precipuamente culturali ossia di soft power. È ciò che pare capiti ai primi ministri italiani con una continuità impressionante. Il pericolo è che nonostante le reazioni sempre più esplicite della borghesia nazionale contro la manovra sbagliata perché troppo poco incentrata sulla creazione di capitale fisso e quindi sulla crescita, nonostante questo, la compagine governativa italiana non ingaggi con Bruxelles la vera battaglia: quella della negoziazione dei parametri del Fiscal compact (peraltro già scaduto come Trattato) e si abbandoni così alla tremenda ondata d’urto che verrà dalla prossima recessione per debito cinese e per debito corporate Usa. Recessione che si unirà alla deflazione secolare e disgregherà ancor più il nostro sistema sociale.
Non emerge in questo tramonto della ragione la stella polare che deve guidare ciò che rimane della borghesia nazionale: lavorare con le borghesie nazionali tedesche, convincere quelle classi politiche della necessità di rivedere le politiche economiche europee e riscrivere in tal modo la storia d’Europa. La Brexit la sta già scrivendo da parte sua, dimostrando l’ignavia, l’ignoranza di una intera classe dominante politica e tecnocratica dell’Unione Europea, che invece di aprire un varco al primo ministro del Regno Unito lo stringe sempre più in un cul-de-sac per sgretolamento del sistema politico inglese (dove sono finiti gli ammiratori sfegatati del modello Westminster?) e pervicacia e violenza della tecnocrazia europea che non è consapevole dei rischi che corre l’intero rapporto di potenza mondiale se il Regno Unito entra in convulsione.
Usa e Uk in crisi: una tragedia che il mondo, non l’Ue — non solo l’ Ue —, non può permettersi, pena l’entropia. Ed è invece l’entropia mondiale che la cuspide del potere europeo sta producendo senza sosta in una pazzia inarrestabile.