NEW YORK — L’ho trovato tra le “breaking news” sul sito di Cnn, elencato dopo la partenza negativa del Dow Jones, la storia di una statua di Gandhi abbattuta in Ghana ed uno degli ormai quotidiani scandaletti di Facebook in violazione – vera o presunta che sia – della nostra “privacy”. E non è una questione di orari di stampa, perché – come indica proprio Cnn – la cosa è successa “last week”, la scorsa settimana. E’ che nessuno ha voglia di raccontare al paese di una bimba di 7 anni morta di stenti, stremata da un cammino estenuante, con poco cibo e poca acqua, un peregrinare nutrito solo da una confusa ma insopprimibile speranza in un futuro migliore. Perché questa bambina era detenuta dal Border Patrol assieme a suo padre dopo aver illegalmente attraversato il confine. Inutile il trasporto all’ospedale pediatrico di El Paso, in Texas. La piccola non ce l’ha fatta.
Anche se i media ormai non ne parlano quasi più, quelle migliaia di esseri umani a destra e a manca della linea di demarcazione tra Messico e United States, sparsi tra accampamenti improvvisati, ricoveri del governo messicano e centri di detenzione americani, esistono ancora. Quegli esseri umani che chiamiamo “migranti”, come se quella parola ci offrisse un’etichetta unica che li bolla tutti, uno ad uno, omogeneizzandoli, rendendoli indistinguibili, succhiando via da ognuno nome, storia, persone amate, dolori, speranze e desideri. Cancellandone il volto in un insieme anonimo.
Di quella bimba non sappiamo neanche il nome, di dove venisse, dove fosse la sua mamma, e forse preferiamo non saperlo e non sapere del padre, della madre e di niente. Nella perdita di capacità di relazioni reali, fisiche cui la società d’oggi ci educa, la negazione del dolore e della sua ultima forma, la morte, è un must. Si fa di tutto per ignorarne l’esistenza, ci si volta dall’altra parte, si evita persino di parlarne. A maggior ragione, perché farlo se si tratta della sofferenza di persone la cui esistenza ci appare cosi lontana da non sfiorarci nemmeno?
A pensarci troppo si potrebbe persino correre il rischio di venire assaliti da qualche vago senso di colpa: perché loro e non io? Perché il destino ha portato loro e non me a quel confine?
E a noi, che tra i tanti privilegi abbiamo anche quello di vivere dove vogliamo, il destino cosa chiede?