La Dichiarazione universale dei diritti umani ha celebrato da poco il settantesimo anniversario della sua promulgazione. Il monumentale documento (30 articoli) fu solennemente proclamato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite riunita a Parigi, al Palais de Chaillot, il 10 dicembre 1948. Chi ne ha scritto per commemorarla si è trovato, come sempre succede in questi casi, nella paradossale situazione per cui, da una parte, tutto sembra scontato e ovvio in una magna charta come questa. D’altra parte, non c’è affermazione di principio che non possa essere posta in relazione, ancora oggi, con qualche forma di violazione della verità conclamata. Chi oserebbe negare apertamente che tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti (art. 1)? Chi esplicitamente oserebbe contrastare il principio per cui ad ogni individuo spettano diritti e libertà senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere (art. 2)? Chi ancora non sarebbe disposto a sottoscrivere che ogni individuo abbia diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona (art. 3)?
Sappiamo bene tuttavia, perché ne abbiamo le prove grazie alla rete globale che ci rende tutti connessi, che in alcuni Paesi esistono gravi forme di schiavitù, discriminazione e violazione della libertà religiosa, che non da tutte le parti gli uomini sono liberi di scegliere liberamente una forma di governo piuttosto che un’altra, che sono frequenti gli attentati al diritto alla vita. Eccetera. Da questo punto di vista la Dichiarazione è utile per cogliere la distanza tra la fiducia nel progresso e nell’ordine democratico sulla quale si fondano le sue istanze e la perdita delle evidenze naturali di cui soffre la nostra visione del mondo. Viviamo in un’epoca in cui l’etica universalistica è decisamente tramontata, a vantaggio (se di vantaggio si tratta) della cura del bene individuale o della comunità intesa come spazio chiuso, delimitato da poche necessità rivendicate, queste sì, come diritti: la salute del corpo, la sicurezza dello spazio vitale, il confine da preservare.
È possibile tuttavia, prendendo spunto dalla Dichiarazione, sviluppare un altro ordine di riflessioni. Il preambolo, infatti, suggerisce che la strada dell’insegnamento e dell’educazione è la modalità principale per giungere alla promozione dei diritti umani. Attraverso l’insegnamento e l’educazione (by teaching and education) si confida possano essere convertite le mentalità degli uomini all’attenzione e al rispetto per i propri simili. Da questo punto di vista, il sito dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) è ricco di strumenti e documenti che illustrano molto bene come, dal punto di vista degli esperti internazionali, possa essere concepita l’educazione ai diritti fondamentali nella scuola.
Sono indicati tre piani: 1) la conoscenza dei diritti e dei loro meccanismi al fine di acquisire le competenze per metterli in pratica; 2) il rafforzamento degli atteggiamenti che sostengono i diritti umani; 3) la promozione di azioni e comportamenti coerenti con il rispetto e la difesa di tali diritti. La più recente dichiarazione in ambito Onu sull’educazione ai diritti umani tramite l’insegnamento è del 2011. Essa si sviluppa in due sensi: la riaffermazione del diritto all’istruzione e l’accesso ai diritti tramite l’informazione.
Il cortocircuito sul quale si basa il testo, come molti altri di questo genere, è il seguente: la formazione in materia di diritti si esplica nel diritto all’informazione sui diritti. La cultura del diritto in questa ottica si assimila acquisendo nozioni e comportamenti adeguati che, secondo un passaggio specifico del documento, riguardano la necessità di promuovere la tolleranza, di garantire pari opportunità educative, di prevenire forme stereotipate di incitamento all’odio e atteggiamenti pregiudiziali nei confronti degli altri. Un successivo documento pescato nello stesso sito (questa volta si tratta di una raccomandazione del Comitato dei ministri del 2012) fornisce una serie di istruzioni per l’uso, tra le quali la più pregnante concerne la formazione sui diritti e la loro fruizione tramite lo sviluppo della personalità, dei talenti e delle capacità mentali e fisiche dell’allievo. Attorno a questi nodi si muovono anche in Italia varie iniziative tutte imperniate sulla modalità della formazione/informazione. Alcuni uffici regionali della scuola promuovono concorsi su diritti umani.
Ma “che cosa significa educare ai diritti umani?” si chiede il Centro di ateneo per i diritti umani di Padova. “Significa educare al paradigma dei diritti umani quindi ad un insieme coerente di teorie, metodi e procedure che si fondano su un complesso articolato di norme: il Codice internazionale dei diritti umani” (testo del 2014).
Da elaborazioni di questo genere è nato il termine “glocale” che sintetizza la nuova dimensione, globale e locale, nella quale si trova ad operare la scuola implicata nelle forme comunicative dell’interconnessione e dell’interdipendenza. Nella realtà glocale l’educazione diviene un problema di valori, attitudini, abilità e conoscenze. In relazione specificamente al settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, il coordinamento nazionale degli enti locali per la pace, insieme al Miur, ha promosso un programma dal titolo “Diritti e responsabilità” che prevede, tra l’altro, l’ideazione e la realizzazione di nuovi percorsi didattici di ricerca-azione finalizzati al rinnovamento della didattica, mediante la promozione dell’impegno, del protagonismo, della creatività e dei comportamenti dei giovani in difesa e per la realizzazione dei diritti umani.
Sarà interessante verificare quanto incideranno questi orientamenti sulla coscienza dei giovani. Da tanto attivismo, là dove si esprime, scaturirà un rapporto con la realtà segnato non dalla paura e dal ripiegamento su di sé, bensì da una visione nuova del sistema dei diritti? Nuova cioè capace di distinguere tra diritti fondanti (come quelli della Dichiarazione) e nuovi diritti che sono talvolta il frutto dei processi culturali o delle mode passeggere? Nuova anche nel senso di capace di rivendicare accanto ai sacrosanti diritti anche alcuni imprescindibili doveri, a partire dal compito di scoprire la propria vocazione nel mondo attraverso la scoperta di sé in dialogo con gli altri?
Le domande sono lecite. L’educazione è infatti il terreno dell’incontro e della nascita di una responsabilità che non si acquista solo adeguandosi ad un certo comportamento o standard conoscitivo. L’educazione è un movimento positivo che aiuta a crescere la persona perché conferisce certezze sulla propria identità e sul proprio destino nel mondo. Servissero a ridestare questo orizzonte, le celebrazioni in occasione della Dichiarazione sui diritti umani avrebbero realizzato uno scopo davvero utile.