Oggi è il vice rettore della Università ucraina cattolica di Lviv, in Ucraina, ma tra il 1977 e il 1984 passò sette anni in un gulag sovietico ai lavori forzati. Myroslav Marynovych è stato premiato quest’anno dal prestigioso Istituto Napa americano con il premio Charles J. Caput e ha potuto raccontare la sua storia. Marynorvych venne arrestato per essere il responsabile della prima associazione ucraina che chiedeva il rispetto degli accordi di Helsinki e che monitorava gli abusi dei diritti umani in Ucraina, l’Ukrainian Helsinki Group. Dopo essere stato scarcerato scontò ancora tre anni di esilio nel Kazakistan. Questa terribile esperienza, però, dice, gli ha fatto imparare e capire cosa significano le parole evangeliche “ama il tuo nemico”. Il disprezzo e la violenza che gli ufficiali e le guardie del Kgb avevano per i detenuti cristiani aveva fatto montare in lui una rabbia incontenibile, tanto da essere coinvolto in una rissa con una guardia mentre si trovava in isolamento. Fu dopo quell’episodio che cominciò a chiedersi: “Questa incarnazione della rabbia sono davvero io? E la mia fede cristiana?”. Capì che rischiava di trasformarsi in un uomo di odio, proprio quello che volevano i suoi aguzzini, rischiando di perdere anche la fede. “Mi sono messo a pregare camminando avanti e indietro nella cella e ho deciso: non voglio che l’odio prenda il mio cuore”. Cominciò, racconta, a comportarsi come un cristiano per quanto poteva: non aveva bisogna di odiare il prossimo per quelle cose che avevano bisogno di sentire. Nacque una sorta di ecumenismo carcerario: “Per due volte cattolici e ortodossi celebrarono la pasqua insieme nello stesso giorno, cosa che invece normalmente segue calendari diversi. Cosa che rese difficile per le guardie del Kgb mettere i due gruppi uno contro l’altro. Fu dato l’ordine di divieto di riunirsi al sabato santo per celebrare la pasqua: “Per noi cristiani, essere puniti per aver celebrato la pasqua era una cosa positiva, quindi ovviamente ignorammo quell’ordine”. E infatti le guardie misero tutti in isolamento per 15 giorni.
LA LETTERA A GIOVANNI PAOLO II
“Era il periodo in cui in Europa le marce cristiane di pace erano molto popolari e l’Unione Sovietica sosteneva queste marce di pace cristiane perché sostenevano il disarmo, ecc. Era utile per la propaganda sovietica. L’Unione Sovietica ha sostenuto i movimenti cristiani in Europa, da una parte, e ha punito i cristiani per la semplice celebrazione della Pasqua, d’altra parte. Dovevamo informare il mondo di questo”. La notizia che un polacco era stato eletto papa portò euforia nel gulag tanto che decisero di scrivergli. “Sapevamo che in quanto polacco conosceva i crimini dei comunisti, non come i cardinali italiani che conoscevano solo i comunisti italiani senza sapere cosa succedeva all’estero” dice. Gli scrissero che venivano puniti per la celebrazione della pasqua e fecero in modo che la lettera arrivasse segretamente a Mosca. Alcuni mesi dopo i nostri familiari ci informarono che Giovanni Paolo II aveva letto la lettera e celebrato una messa per noi: il papa aveva pregato per me! Dopo la caduta del comunismo e più di dieci anni dopo aver scritto quella lettera, Marynorvych ebbe occasione di incontrare il papa e ringraziarlo personalmente. Durante il suo discorso al ricevimento del premio, Marynorvych raccontò tutto questo, concludendo così: “Sono stato privato di molte gioie della vita – sono stato arrestato a 28 anni e rilasciato a 38 anni. Eppure, sono una testimonianza di una verità molto importante: Dio non toglie nulla all’essere umano senza compensarlo ancora più abbondantemente. Ecco perché non ho mai considerato il mio imprigionamento come una maledizione. Sì, il regime sovietico voleva rendere la mia vita un inferno. Tuttavia, è stato Dio a trasformare l’esperienza del campo in una benedizione”.