Il colonnello Sergio De Caprio, noto come Capitano Ultimo, riavrà la scorta. Lo ha deciso il Tar del Lazio che, come riportato dall’Ansa, ha accolto il ricorso dell’uomo che nel 1993 arrestò il boss di Cosa Nostra Totò Riina. La revoca della misura di protezione era stata disposta il 3 settembre scorso a causa della «mancanza di segnali di concreto pericolo». A tal proposito Capitano Ultimo ha dichiarato a La Vita in Diretta in merito a quella decisione: «Ti lascia un po’ perplesso. C’era un carabiniere a cui avevano promesso un miliardo di lire per avere indicazioni su dove vivevo nel periodo in cui vivevo a Palermo. Non si può dire che non ci sono segnali di pericolo per me». Ai microfoni del programma di Raiuno ha parlato di quella che definisce «una scelta di vita», cioè «quella di non essere niente». Capitano Ultimo si definisce «un combattente che appare nel momento dell’azione e svanisce subito dopo». Una scelta decisiva: «Mi nascondo ed è più difficile degli altri colpirmi».
CAPITANO ULTIMO A LA VITA IN DIRETTA
Nelle parole di Sergio De Caprio, il colonnello conosciuto come Capitano Ultimo, c’è l’orgoglio per la sua lotta contro la mafia ma c’è anche l’insoddisfazione per non averla sconfitta. «Dopo una vita passata combattendo Cosa Nostra, con gente morta e una storia di sangue, mi ritrovo a parlare ancora di questo. E vuol dire che ho fallito, ma è un fallimento di tutti noi», ha dichiarato a La Vita in Diretta. Nell’intervista ha ricordato il giorno dell’arresto di Totò Riina: «Ci sembrava ancora più bello il tempo… Poi sentì la voce di Ombra che segnalava l’arrivo di Riina». Determinante fu la loro capacità di nascondersi: «Noi sappiamo essere invisibili». E riescono ad esserlo senza paura, che «ti fa essere prudente, ti fa capire quando non devi forzare, è un dono di Dio». La paura c’è ma non gli impedisce di dormire la notte: «Il nostro successo è diventare l’incubo del nemico. Hanno cacciato me e io ho cacciato loro. Nella vita si paga tutto, ho fatto il mio lavoro con le tecniche che ho imparato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa».