Caos per approvare la manovra? Fatto. Il governo del cambiamento ha spuntato un’altra voce nell’elenco delle novità, ovvero la legge di bilancio più assurda e complicata degli ultimi anni. La manovra più pazza della storia continua a cambiare, i provvedimenti cambiano di ora in ora, il testo salta tra il Parlamento e il ministero dell’Economia perché trovare il modo di tradurre in linguaggio tecnico la volontà politica di questo esecutivo evidentemente non è un gioco da ragazzi. Si rincorrono voci che, dopo il capo di gabinetto del dicastero di via XX Settembre, Roberto Garofoli, una volta approvata la manovra se ne andrà anche il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, entrambi tra i bersagli preferiti dai 5 Stelle. Segnali di profondissimo sconcerto.
È chiaro che la manovra non è stata scritta a Bruxelles, altrimenti il ministro Giovanni Tria non dovrebbe fare i salti mortali per portare alle Camere un testo da votare. Fretta e incompetenza si sommano. Così ieri il maxiemendamento è arrivato al Senato, dove — quando sarà definitivo — verrà approvato con voto di fiducia, senza che i senatori abbiano avuto il tempo di leggerlo: a malapena l’hanno fatto i membri della Commissione bilancio, in cui ieri è scoppiato il caos perché il testo depositato non era ancora quello finale. La fiducia alla Camera arriverà la prossima settimana, il 28 e 29 dicembre, sempre che non insorgano ostacoli. Il rischio di arrivare al 2019 senza una legge di bilancio, e quindi di iniziare l’anno con l’esercizio provvisorio, non è così remoto.
Ieri Matteo Salvini ha lanciato un sacco di tweet: la solita scorpacciata da uomo del popolo (tortellini, ragù con la salsiccia, birra), i soliti attacchi a Ong e Gino Strada, il solito selfie allo stadio per la solita sconfitta del Milan. Nemmeno un accenno al caos parlamentare di cui è corresponsabile, essendo tra i protagonisti del braccio di ferro con Bruxelles che ha allungato a dismisura i tempi della messa a punto. Meglio concentrarsi sugli immigrati e lasciare perdere le Camere.
Il momento per Salvini non è facile. I sondaggi dicono che è in calo nel Nordest, che c’è una fetta di elettorato scontenta del comportamento della Lega. Per carità, il calo è relativo: è come uno che dopo aver preso 10 chili di peso ne perde uno, se ne accorge soltanto la bilancia perché la pancia resta. In questi mesi Salvini ha fatto un balzo talmente alto in tutta Italia che forse può permettersi di mandare il solito bacione anche alle partite Iva che gli stanno girando le spalle. Ma il segnale non andrebbe sottovalutato. I rapporti con i 5 Stelle non sono quelli di quando fu firmato il contratto. Molti nodi sono ancora da sciogliere: c’è da chiedersi, per esempio, visto quanto è stata contorta la gestione della manovra, come si arriverà alle nuove norme sulle pensioni o sul reddito di cittadinanza. Anche gli elettori della Lega vogliono cominciare a vedere risultati concreti, perché finora l’unico effetto prodotto dal governo sulle loro tasche è stata la sforbiciata sui risparmi investiti in titoli.
Il guaio maggiore si presenterà però al momento di varare la legge di bilancio del 2020, sempre che l’esecutivo Conte riesca ad approdarvi. Per accettare la manovra 2019, Bruxelles ha preteso che vengano ripristinate le cosiddette clausole di salvaguardia: in altre parole, se l’Italia crescerà come previsto e non sforerà ulteriormente il debito, bene; altrimenti dal 2020 scatteranno gli aumenti automatici dell’Iva. Quest’anno i rincari sono stati evitati soltanto perché il deficit è stato elevato al 2,04 per cento, cosa che tra un anno non si potrà ripetere. La manovra 2020 si annuncia dunque ancora più problematica di quella che, alla vigilia di Natale, non ha ancora visto la luce. E su Salvini potrebbe stendersi l’ombra dell’“effetto Renzi”: dal 40 per cento delle europee al baratro.