Sono state chiuse le indagini a carico di Mimmo Lucano, sindaco di Riace finito nell’ottobre scorso ai domiciliari nell’abito dell’operazione Xenia. La Procura della Repubblica di Locri gli contesta, secondo quanto riportato dalla Gazzetta del Sud, il reato di associazione a delinquere. Secondo i magistrati, che hanno chiuso le indagini anche per gli altri trenta indagati nell’inchiesta, il primo cittadino riacese avrebbe celebrato matrimoni di “comodo” tra extracomunitari irregolari ed italiani per permettere ai primi di poter restare nel nostro paese. Sono contestati anche una serie di reati contro il patrimonio e la pubblica amministrazione. Per gli inquirenti, dunque, Lucano avrebbe orientato l’esercizio della funzione pubblica degli uffici del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Reggio Calabria, che si occupano della gestione dell’accoglienza dei rifugiati, «verso il soddisfacimento degli indebiti e illeciti interessi patrimoniali delle associazioni e cooperative che gestivano i progetti».
MIMMO LUCANO, CONTESTATA ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE
Nell’ordinanza il sindaco di Riace, comune divenuto modello di accoglienza in Calabria, è descritto dai magistrati come “il capo promotore” della presunta “associazione per delinquere”. Mimmo Lucano è accusato di aver definito le linee operative della coop, controllando l’associazione Città Futura e portando avanti i rapporti con le istituzioni. Il 16 ottobre scorso il Tribunale del riesame gli ha revocato i domiciliari non ravvisando esigenze cautelari a suo carico e accogliendo in parte il ricorso dei suoi legali, Antonio Mazzone e Andrea D’Aqua, che avevano invece chiesto l’annullamento. È stato invece stabilito un divieto di dimora a Riace. Due giorni dopo il prefetto di Reggio Calabria, Michele di Bari, ha confermato per Lucano il provvedimento di sospensione dalla carica del sindaco. Lucano ovviamente in più occasioni si è difeso dalle accuse. «Non vogliono uccidere me, ma Riace», aveva dichiarato in una sua ultima dichiarazione.