Monsignor Agrelo è arcivescovo di Tangeri, ma gli piace essere chiamato Fratel Santiago. Mi riceve nel suo studio. Fa freddo e la pioggia è torrenziale. Tangeri è in Marocco, ma in inverno fa freddo come nel Sud dell’Europa. Ed è il clima la ragione della sua faccia afflitta, perché è preoccupato per la trentina di migranti, arrivati da Sierra Leone, Camerun, Senegal, Costa d’Avorio, Namibia, etc, che ospita nel portico della Cattedrale, una scarsa protezione alle intemperie. Entrano nella sua residenza solo una volta al giorno, per mangiare, ma i ragazzi possono giocare all’interno dell’episcopio. Lì si possono vedere parlare tra di loro in inglese e francese, giocare a calcio, e qualcuno sente Messa e recita vesperi o rosario all’interno della chiesa. Sono in questa situazione da settimane.
Nato a Rianxo (Galizia), Fratel Santiago è stato ordinato vescovo da Papa Benedetto XVI nel 2007. Da allora è a capo di questa diocesi di un Paese musulmano, una Chiesa che si rende evidente per la carità: i fratelli della Croce Bianca, le Missionarie della Carità di Madre Teresa, la Congregazione delle Adoratrici, le Carmelitane della Vedruna, il focolare Lerchundi, etc. Tutte realtà dedicate ai disabili, alle ragazze madri, ai bambini di strada, alle prostitute, alle mogli ripudiate, e via dicendo.
Agrelo è conosciuto in Spagna come voce che chiama nel deserto difendendo i migranti e i loro diritti. Ha trascorso 18 anni a Roma. Dopo la specializzazione, dal 1967 al 1969, divenne professore alla Pontificia Università Antoniana, dove scopri la sua preferenza per i più svantaggiati nella società. Per dodici anni è andato quasi tutti i giorni in una parrocchia periferica di Roma, occupandosi dell’oratorio e dei bambini del quartiere, dove ha ancora molti buoni amici.
Tanto tempo dopo l’avventura italiana, qui ti sei incontrato con altri poveri, i migranti, che sembrano per di più meno amati da queste parti.
Sì, la loro situazione sta peggiorando. Due anni fa, in seguito a un esodo massiccio che ha preoccupato il governo spagnolo, sono cominciati ad apparire furgoni della polizia nelle vicinanze dei boschi di Beliones, dove si rifugiavano i subsahariani preparandosi al passaggio. Così, non potevano neppure attraversare la strada per prendere il cibo che cercavamo di procurare e sopravvivevano in qualche modo nei campi o in città. In questa ultima offensiva, la polizia va a cercarli casa per casa, li arresta e li manda nel Sud del Paese. Hanno usato anche violenza e ci sono stati almeno due morti, che si sono buttati da un autobus in marcia.
Che cambiamento c’è stato nella politica sull’immigrazione con il nuovo governo socialista di Sánchez?
Nessuno. Politica e atteggiamenti sono gli stessi del precedente governo. Cambiano le parole, niente di più. Si fa vedere che si fa qualcosa, ma non si fa nulla, si salvano le apparenze. Vanno tutti nella stessa direzione: governo, opposizione e Ue. Il Marocco dà una mano solo perché vuole guadagnarci.
So che non sei uno specialista e che non ti piace giocare all’analista, tuttavia, rispetto al governo di Salvini in Italia, qual è il tuo parere da Tangeri sul suo comportamento e sull’appoggio che ha da una buona parte della popolazione?
Amico mio, quello che decidono i politici incide sulle nostre vite e sulla vita dei poveri, però non tocca a me giudicare sulla sua legittimità. Ciò che risulta incredibile, scandaloso e di cui verrà chiesto conto a ciascuno di noi, è di aver dato responsabilità di governo a persone che, in nostro nome, calpestano la pietà e la giustizia.
Cosa pensi si potrebbe cambiare in proposito?
Non sono un economista, però penso che se le energie che poniamo nel respingerli le dedicassimo ad accoglierli bene, ci guadagneremmo. Avremmo migliaia di lavoratori giovani che pagherebbero contributi. Paghiamo migliaia di milioni a governi fuori di Europa perché li tengano lontani, in installazioni sulle frontiere, in filo spinato, in fossati, in tecnologia militare, in rilevatori di calore e movimento e così via. Inventiva contro i poveri. E poi i giornalisti dicono che sono i poveri che sono violenti, e la gente ci casca. In che mondo vive questa società?
Sulla rete viene diffuso un augurio per il Natale in cui appaiono Giuseppe e Maria che arrivano alle porte di una città addobbata con motivi natalizi. Però, tra la Sacra Famiglia e l’entrata della città vi è una recinzione simile a quella che i migranti subsahariani cercano di superare a Ceuta e Melilla.
Spesso un’immagine vale più che mille parole se si vuole trasmettere un’idea. Questa di cui mi parli è una fotografia del Natale di oggi, di questo Natale delle frontiere che molti cristiani, purtroppo, ignorano o fingono di ignorare: sui confini, è sempre la famiglia di Gesù che chiama, che chiede ospitalità, che cerca un luogo attraverso il quale Dio venga nella nostra vita.
Cosa sono l’Avvento e il Natale per i ragazzi che sognano di passare lo Stretto e arrivare alla terra promessa?
Loro sono, benché non lo sappiano, una comunità in avvento, una comunità che vive di speranza, anche se per molti di loro questa speranza non si chiama Cristo Gesù. Sognano un futuro migliore, e il Dio rivelato in Gesù di Nazaret è un creatore di un futuro migliore per il suo popolo, per i suoi figli. Il Dio di Gesù è un altro sognatore. Può darsi che i migranti non sappiano dire cosa sia l’Avvento, però vivono in esso: sono un popolo in avvento. E sono la verità del Natale: in loro Gesù continua a sperimentare l’indifferenza con cui fu accolto quando nacque, in loro Gesù continua ad aver bisogno che la fede lo accolga.
In qualche modo siamo tutti un po’ responsabili della situazione in cui vivono i bambini che vengono dal Sahara del Sud. In che misura ritieni che la dimenticanza dei diritti umani abbia a che vedere con una dimenticanza precedente del contenuto del Natale?
Suppongo che senza la diffusione del Vangelo non si sarebbe mai arrivati alla “Dichiarazione universale dei diritti umani”. Tuttavia, coloro che la elaborarono e la sottoscrissero non lo fecero a partire dal Vangelo, ma dalla propria cultura, la propria coscienza, la propria esperienza. Niente in questa Dichiarazione fa riferimento al Vangelo e tanto meno alla nascita di Gesù. Purtroppo, quelli che hanno sottoscritto la Dichiarazione non la rispettano. E sono sicuro che quelli che osservano il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, anche se non l’hanno mai letta, la osservano scrupolosamente. Il Natale è l’evidenza dell’opzione di Dio per i poveri.
Cos’ha a che fare l’esperienza della povertà con questa fede matura che coincide con l’accogliere il bambino Gesù?
La povertà è necessaria per farti adulto nella fede. Una persona che non sperimenta la povertà personalmente – e oggi sono molte le persone che arrivano a 40 o 50 anni senz’aver vissuto la povertà per motivi di salute, economici, etc. – ha un processo di maturazione della fede molto complicato. Le diventa costoso crescere e non riesce a sviluppare capacità che a noi appaiono fondamentali per essere umani. Chi non è stato povero, non ha avuto fortuna nella vita. San Francesco di Assisi, Santa Teresa del Bambin Gesù, Sant’Agostino e via dicendo, tutti sono maturati a forza di inciampare.
Allora non c’è molta speranza per quelli che non hanno sperimentato direttamente la povertà.
Questa speranza resta disponibile nell’incontro con le persone bisognose. Queste ci possono aiutare a maturare, perché ci fanno capire cosa vuol dire aver bisogno dell’altro per poter vivere. La vita con il tempo ti porterà a capire che la povertà è comune e perciò si deve dedicare spazio ai poveri. Da qui l’importanza che oggi ha l’educazione nella famiglia, fissando alcuni obiettivi non negoziabili cui vogliamo arrivare in questo senso. Dobbiamo dare ai bambini la possibilità di sperimentare la povertà.
Tuttavia, una delle sofferenze di Francesco ha a che fare con gli abusi di potere di sacerdoti con i più deboli, i bambini. Il Papa parla di clericalismo.
La verità è che questo tema mi provoca una montagna di sensazioni che a volte escono dal politicamente corretto. E’ terribile per le vittime, nei cui panni non sono capace di mettermi, malgrado sia dovuto scappare da una città perché non mi capitasse. Né sono capace di mettermi nei panni dell’abusatore, che viene solitamente presentato come un mostro e per me non lo è. Io non mi sono mai trovato nei dilemma in cui queste persone si sono trovate. Che differenza c’è tra Santiago Agrelo vescovo e il Chicle, l’assassino di Diana Quer? (una ragazza trovata quest’anno in un pozzo del paese di Agrelo, uccisa da un giostraio soprannominato “Chewing gum”, ndr) Siamo stati battezzati nello stesso fonte battesimale, però lui è passato per cose che io non sogno nei miei peggiori incubi.
Capisco, però mi dicevi che la pederastia è qualcosa di reale nella Chiesa…
Certamente, ma non accetto che quando si parla di pederastia si parli solo della Chiesa, come se fosse solo un problema solo della Chiesa. E’ un problema sociale che ha a che fare con la distruzione della famiglia. Porre la Chiesa come responsabile della questione lascia prive di protezione le vittime e non rende loro giustizia. Meritano un’analisi migliore, più oggettiva, una questione per i sociologi, per gli esperti.
Dove potrebbe portare lo studio di questo fenomeno?
Il problema della pedofilia è un problema familiare, molti di questi abusi avvengono nella propria casa. Incolpiamo la Chiesa senza ricordare che essa ha sempre inteso educare i propri figli al controllo della sessualità. Se c’è qualcosa su cui la Chiesa ha continuamente insistito è proprio questo. Perciò credo che quando la si incolpa del problema della pederastia è precisamente per toglierle l’autorità morale per parlare della sessualità.
Cosa può rafforzare la famiglia cristiana?
Viviamo in un mondo in rapida trasformazione, una trasformazione che non possiamo neanche intuire dove ci porterà. La famiglia è dentro questo mondo in trasformazione. Ciò che un discepolo di Gesù sa è che, sopra questo mondo, deve brillare la luce del Vangelo: anche sulla famiglia. Più che nella famiglia, si deve porre attenzione nella comunità di fede, nella comunità ecclesiale, nella comunità del Risuscitato, e questa comunità avrà il suo modo particolare di essere famiglia e di fare famiglia. Quel giorno non ci saranno migranti o poveri che trovano chiuse le porte della comunità.
(Jorge Martínez Lucena)