“Sanguine. Luc Tuymans on Baroque è una lettura personale del Barocco, costituita da accostamenti inediti e associazioni inaspettate tra lavori di artisti contemporanei e opere di maestri del passato”. Così l’incipit della brochure che il visitatore, spesso impreparato ma certamente curioso, si trova tra mano all’inizio del percorso di questa mostra milanese che offre senza dubbio una serie di spunti non trascurabili per una riflessione sul nostro presente e sulla sua complessità.
Il titolo della mostra prelude già in qualche modo ai suoi contenuti che si snodano nell’ampio e articolato spazio della Fondazione Prada: inaugurata lo scorso 18 ottobre a Milano, Sanguine resterà aperta al pubblico sino al 25 febbraio 2019.
A curarne l’allestimento, il belga Tuymans, che con singolare audacia offre, attraverso l’esperienza visiva di 80 opere realizzate da 63 artisti di fama internazionale — lui pure è tra questi —, una lettura del tutto inedita e molto personale del Barocco.
Rinunciando al tradizionale ordine cronologico, opere di grandi maestri del 600 come Caravaggio, Rubens, Van Dyck — per citare solo i più noti — convivono e dialogano con artisti contemporanei fino a stimolarne il confronto e a sollecitarne un paragone: l’intento, variamente esplicitato, è dimostrare come il Barocco possa in qualche misura considerarsi “proemio della modernità”: un’ipotesi davvero intrigante e suggestiva che sembra orientata a capovolgere quell’accezione negativa di frequente attribuita in passato proprio a questa corrente.
Certo è che l’itinerario della mostra offre al visitatore una panoramica a dir poco inquietante: più che stupore e meraviglia, a invaderti sono sentimenti di angoscia e sgomento per il progressivo incalzare di immagini, installazioni e filmati che rischiano quasi di smarrirti. Se scopo di Tuymans, come lui stesso dichiara, era quello di allestire una percorso che “mettesse a confronto il mondo contemporaneo, segnato da un populismo in espansione, ed il Barocco, tutt’altra epoca, ma ugualmente segnata da stridenti contrapposizioni”, l’operazione è perfettamente riuscita! “Quel tempo — prosegue ancora Tuymans — segnò la nascita di un immaginario occidentale secondo il quale l’arte doveva essere dinamica e imponente e il suo scopo era quello di sorprendere e di sopraffare”.
La scelta, indubbiamente provocatoria, con la quale il curatore ha selezionato le opere in mostra, va esattamente in questa direzione: produrre sconcerto, emozionare violentemente, sgomentare; proprio come accadeva nel 600 di fronte a un dipinto di Caravaggio o alla monumentalità altisonante di certe tele di Rubens. Non è un caso quindi se le due opere del Merisi presenti in mostra siano Davide con la testa di Golia e Ragazzo morso da un ramarro. Questo realismo caravaggesco — rilanciato poi da Rubens nell’Europa del XVII secolo — sarebbe dunque il “collante” tra Barocco del ‘600 e Barocco “moderno” che, dell’antico, viene suggerito come prolungamento quasi fisiologico.
A risultare alquanto contraddittoria in questa pur affascinante lettura, è tuttavia l’assenza tragica del “fattore” umano: se infatti tale dimensione innervava drammaticamente tutta l’opera del Caravaggio e dei maestri coevi, non altrettanto essa risulta reperibile nelle opere dei tanti artisti contemporanei presenti in mostra. Così, ciò che nel Caravaggio documentava il vertice espressivo dell’umano nei suoi multiformi aspetti come la violenza, la paura, la fragilità, la miseria, il male, qui trova — ahimè — solo una mostruosa espressione che dell’umano ha smarrito ogni sia pur remota parvenza.
Un esempio per tutti: Fucking Hell (2008), lavoro condotto da Jake & Dinos Chapman. Custodito da enormi teche trasparenti, esso è improntato ad esplorare il tema dell’orrore: si tratta della ricostruzione — fin nel dettaglio, nella dimensione di modellini — di scene che tematizzano orge naziste, insieme a riferimenti espliciti alle guerre di sterminio etniche. Al centro dunque della poetica di questi autori, il massacro dell’essere umano portato contro la sua stessa umanità e quella altrui.
Più che mai pertinente, a chiosare queste riflessioni, il testo denso e illuminante di Susanna Tamaro, “Dietro al velo del Natale” (cfr. Corriere della Sera, 20 dicembre 2018). Facendo riferimento alle giovani vittime di Corinaldo, l’autrice osserva tra l’altro: “Il loro mondo è quello dell’emotività immediata, emotività che ha bisogno di stimoli sempre più forti. Vivendo in un presente circolare, non avendo un’idea da percorrere, non rimane loro altro che provare sensazioni sempre più forti nel tentativo di scardinare quella porta blindata che dà accesso al senso dell’esistere”.
Ecco palesarsi qui, a chiare lettere, la continuità ipotizzata da Tuymans tra il Barocco antico e la sua evoluzione (o involuzione?) moderna. Quella linea che nel 600 si muoveva ondulandosi in una dinamicità finalizzata a creare nuovi spazi e impreviste volumetrie, qui sembra impazzire, avvitata nell’angosciosa spirale di una autoreferenzialità che, “non avendo un’idea da percorrere”, resta chiusa in un “presente circolare” destinato ad esibire le insanabili ferite di un io lacerato fino alla disperazione, a condizione di ammettere ed accettare quella fragilità che lo renderebbe finalmente consapevole del proprio strutturale bisogno e mendicante di una salvezza che nessuna meccanicità potrà mai produrre.