“La Ue ha un futuro basta vedere i cimiteri militari per capire qual è l’alternativa”: parola di Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione europea. Ecco, stavolta l’Europa tramonta nell’iperspazio mediatico e ci pensa il solito Juncker a creare l’atmosfera giusta. Finisce l’anno e sentivamo la mancanza di una sua fondamentale intervista pubblicata anche da La Repubblica, secondo il copione collaudato. Domande così fulminanti e urticanti quelle formulate da Hannelore Crolly, Silke Mülherr, Christoph Schiltz (non provenienti, direi, dall'”Europa meridionale”, secondo il loro lessico chiaramente fatto per “integrare” anche sul piano geo-politico), di un tenore devastante: “Signor presidente, una volta ha detto che l’Europa è l’amore della sua vita. Per i grandi amori a volte ci si dispera, o no?”; “Il suo mandato si avvia al termine. È già nello spirito di trarne un bilancio?”; “A maggio si terranno le elezioni europee. La campagna elettorale sarà dominata dal tema del giusto approccio alle migrazioni?”, ecc.
La realtà sconcertante è che, in un continente come quello europeo, così “amato” da Juncker, in cui si può decretare “la morte di Dio” a ogni piè sospinto, si può imporre il codice etico delle commissioni di Bruxelles, seguendo parametri che niente hanno a che vedere con le tradizioni e l’ethos dei singoli popoli (di quell’Europa, così “amata” da Juncker), si può legittimamente mettere tra parentesi perfino la tradizione cristiana dei popoli (tant’è vero che non se ne fa menzione neanche nei principi costitutivi dell’Ue), non si può, però, chiedere al Presidente della Commissione europea qualcosa di più serio, scomodo e imbarazzante che non sia il menù preferito della domenica e la carriera politica. Cervelli all’ammasso, avrebbe decretato un titano della libertà come Guareschi. Ma non possiamo fermarci all’invettiva. Il caso è serio.
Juncker dice di “amare” questo continente, l’Europa, che nasce come mito e diventa una visione della realtà, della cultura e dell’ethos universale, ma non sa fare altro che richiamare i “cimiteri militari” per legittimare la nascita dell’Unione europea. Con ciò, di fatto, sottolineando un dettaglio non trascurabile: che l’Europa come civiltà è una cosa e l’Ue è un’altra. Il dato è naturalmente sfuggito agli illustri intervistatori, ma il castello di carte del politico di lungo corso (“ministro” dall’età di “ventisette anni”, come umilmente ama sottolineare) è completamente allo scoperto: se ci vuole il retaggio delle guerre fratricide e di religione per fornire lo status di creatura politica sana all’Ue, vuol dire davvero che il re è nudo e mai più nessuno lo ricoprirà, nemmeno di stracci.
L’Ue ha dimostrato che, nel lungo corso storico, il totalitarismo europeo poteva assumere le forme più variegate: dopo il fascismo, il nazismo e il comunismo, pensavamo di aver visto tutto. Invece…ecco spuntare, contrappasso funesto di ogni bel sol dell’avvenire, il totalitarismo più soft, pervicace e destrutturante che la mens europea potesse immaginare (e, infine, creare).
Tre capisaldi contraddistinguono questo moloch totalitario:
1) L’equivoco linguistico fondato sulla leva egemonica delle commissioni: si dice “libero mercato” e Mises, von Hayek e la Scuola austriaca si rivoltano nella tomba. È l’equivoco della costruzione in laboratorio di una “neolingua” fatta di legami strutturali con l’altra “neolingua” dominante, quella bancocentrica, secondo la quale chi dovrebbe rischiare per alimentare la libera intrapresa – leggi le banche – non rischiano niente, e chi invece crea ricchezza e dà lavoro, paga tutto e foraggia le centrali di comando di questo collettivismo anti-mercato e distante anni luce dal capitalismo sano. E solo quest’ultimo è in grado di creare ricchezza e alimentare società, popoli, lavoro e comunità.
2) La moltiplicazione degli organismi di controllo, a cavallo tra le commissioni e una serie di strumenti allegati, con una massa di funzionari a lavoro nelle sedi centrali, da far impallidire la corte di Re Sole. Tutta gente che, naturalmente, deve essere pagata tre volte di più di un operaio qualificato del miglior settore manifatturiero del mondo, quello italiano, anche solo per pulire i servizi dello specchiato ambiente dell’eurocrazja. Dunque, abbiamo così: un equivoco mondo del “libero mercato” e un reale e oggettivo mondo dell’iper-controllo. È chiaro che a Juncker non rimanga che rifarsi ai “cimiteri militari” per aiutare i lettori a capire che l’Europa ha una storia, fatta anche di sangue. Solo che… e vengo al terzo e ultimo punto.
3) Solo che i cittadini europei, soprattutto dell'”Europa meridionale”, sanno perfettamente che la Germania ha asfaltato la Grecia, a suo tempo, facendo cassa sulla sua crisi economico-sociale, e mettendo in piedi una partita di giro per la quale ciò che, con una mano le commissioni “offrivano” al popolo greco, dall’altro arrivasse, sotto forma di commesse a carico dei greci, alle casse tedesche. Con grande soddisfazione dell’export teutonico, non sempre così performante, e delle banche devote al dogma eurocratico e vicine, anche geograficamente, alla Sede del Potere di Eurocrazja. Quindi, un intreccio di affari e dispotismo “commissariale”, sulla base della fiscalità ordinaria che colpisce tutta l’Europa, anche, e in misura non secondaria, l'”Europa meridionale”, e infine, foraggiamento di un assetto che in Germania ha forti finanziamenti pubblici, grazie ai legami fra banche e poteri pubblici. Un altro esempio di uso “speciale” di risorse “ordinarie” elargite in modo “straordinario”.
Morale della favola: gli accenti critici di Juncker nei confronti dei cosiddetti “populisti” (che non esistono, ci sono solo rozzi demagoghi in giro, tra parentesi), non solo inappropriati da parte sua, ma anche inutilmente sarcastici, non alimenteranno la sciatta e grottescamente romantica favola del Bel Continente ormai liberato dai “cimiteri militari”, ma confermeranno, va da sé, la triste realtà del pensiero unico e blindato, che bastona l’ altro-da-sé perché non ha un’identità. Perché qui non si tratta di discutere se l’immigrazione sia o meno l’unico punto nell’agenda di una sedicente “politica europea”, ma se di un’Europa come questa non si possa, anzi, non si debba fare a meno.
Anche in Francia, in cui un Presidente ha osato mettere in discussione la legittimità di un altro governo, quello italiano (e lo dico non essendo in alcun modo un sostenitore di quest’ultimo, ma parlo da italiano), con toni che, in altri tempi, avrebbe creato incidenti diplomatici di non secondaria importanza, c’è qualche problemino di ordine pubblico, dovuto anche a una certa metodologia non propriamente “popolare” dello stesso “illuminato” governante.
Dunque, l’asse del Reno, al di là delle Alpi, e nel Nord, sembra avere più di un cadavere negli armadi. E poco importa se questi ultimi siano di ciliegio o di vecchio legno da segheria: dopo un po’, lì dentro, non si respira più.