Svolta del Vaticano sull’isterectomia: l’asportazione dell’utero è «moralmente lecita» se «gli organi riproduttivi non sono in grado di custodire un concepito sino alla viabilità, cioè non sono in grado di svolgere la loro naturale funzione procreativa». Si tratta di un’importante affermazione su un tema delicato che coinvolge tante donne colpite da gravi malattie, prima di scienza e coscienza. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha affrontato il caso in un “Responsum” approvato da papa Francesco e pubblicato oggi. «Asportare un apparato riproduttivo incapace di condurre a termine una gravidanza non può dunque essere qualificato come sterilizzazione diretta, che è e resta intrinsecamente illecita come fine e come mezzo». L’asportazione dell’utero è considerata moralmente lecita se esso «costituisce un grave pericolo attuale per la vita o la salute della madre», invece resta illecita se il proposito è rendere impossibile un’eventuale gravidanza che può comportare qualche rischio per la madre, «in quanto modalità di sterilizzazione diretta».
VATICANO, SÌ AD ASPORTAZIONE UTERO SE NON PUÒ PROCREARE
La Congregazione vaticana negli ultimi tempi ha dovuto analizzare diversi casi, ben circostanziati, sull’isterectomia. Sono casi che si configurano come una fattispecie differente rispetto a quella presa in esame nel 1993, quando l’ex Sant’Uffizio pubblicò le Risposte ai dubbi riguardanti «l’isolamento uterino» e altre questioni, perché nelle situazioni prese in esame la procreazione è impossibile. «L’oggetto proprio della sterilizzazione è l’impedimento della funzione degli organi riproduttivi e la malizia della sterilizzazione consiste nel rifiuto della prole: essa è un atto contro il bonum prolis». Ma se la nascita del feto è biologicamente impossibile, non si è di fronte ad un caso di «funzionamento imperfetto o rischioso degli organi riproduttivi», bensì «ad una situazione in cui lo scopo naturale di mettere al mondo una prole viva non è perseguibile». E quindi l’intervento del medico «non può essere giudicato anti-procreativo», perché si trova in un contesto oggettivo in cui «non sono possibili né la procreazione né di conseguenza l’azione antiprocreativa».