Il ministro dell’Economia tedesca Altmaier ieri ha concesso una lunga intervista al quotidiano Handelsblatt. Lo sfondo dell’intervento è ovviamente il rallentamento economico tedesco dopo dieci anni di performance molto positive e in un contesto diventato complicato sia per la nuova politica commerciale americana, sia per gli squilibri dei mercati portati alla superficie dalla normalizzazione della politica monetaria della Fed. Tra i problemi citati dal ministro, oltre alla nuova politica americana, fa capolino il rischio Brexit e la mancanza di manodopera specializzata. Le soluzioni vanno dalla digitalizzazione passando per una sburocratizzazione fino a investimenti in tecnologia in particolare nel settore auto dove l’industria tedesca ha deciso di accorciare il gap che si è aperto nei confronti di Cina e Stati Uniti sull’auto elettrica. Si invocano anche campioni europei nell’intelligenza artificiale. Il pezzo forte è forse l’annuncio di politiche di stimolo fiscale perché “l’economia ha bisogno di una spinta”. Altmaier si dice convinto che l’economia tedesca crescerà anche nel 2019. È sicuramente una buona notizia, anche per l’Italia che è un pezzo importante della componentistica tedesca.
Ci rendiamo conto che Almaier non possa dire cose molto diverse da queste, peraltro ragionevolissime e di buon senso, ma è abbastanza chiaro che si è aperta una fase nuova rispetto a quanto visto negli ultimi dieci anni. La questione per noi europei e naturalmente per i tedeschi è se si sia ancora possibile proiettare strategie e politiche estrapolando quanto fatto finora. In un nuovo mondo più “cattivo” nelle relazioni commerciali, con un confronto/scontro tra Stati Uniti e Cina in cui si cerca di recuperare ogni margine, l’enorme surplus commerciale tedesco e il dominio franco-tedesco su un mercato di diversi centinaia di milioni di consumatori da primo mondo continuerà a essere sotto attacco.
È vero che qualsiasi riposizionamento che tocca nel profondo assetti economici e produttivi consolidati fa male a tutti, ma è altrettanto vero che questi scossoni hanno conseguenze dalle implicazioni diverse. Altmaier, per esempio, ci spiega che l’esito del referendum inglese ha danneggiato le esportazioni tedesche via svalutazione della sterlina, e poi si affretta ad aggiungere che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea farebbe più male agli inglesi che agli europei. Però, soprassedendo sul conflitto di interesse dell’analisi, il problema rimane. Anche perché non è detto che le valutazioni economiche di breve-medio periodo siano necessariamente le lenti con cui leggere questi fenomeni.
La Germania e la sua economia hanno goduto negli ultimi due decenni di un contesto favorevolissimo. Hanno potuto macinare surplus fiscali e commerciali in un contesto di cambio debole e bassi tassi di interesse. Gli squilibri “target 2” finora hanno presentato un conto teorico mentre tutti gli altri benefici sono stati reali. Possiamo aggiungere che noi italiani abbiamo avuto tassi più bassi, però è abbastanza evidente che nell’attuale contesto europeo qualcuno riesce a controllare l’applicazione delle regole e qualcuno no. La convivenza di surplus fiscali, commerciali con un cambio debole e bassi tassi di interesse è artificiale ed è un’anomalia che si produce a causa dell’euro e dei suoi difetti.
Non stiamo facendo valutazioni morali. Non ci interessa dire che i tedeschi o gli italiani sono buoni e cattivi, ma solo sottolineare il fatto, evidenziato da ogni economista serio inclusi gli “europeisti” sfegatati, che i difetti di costruzione dell’euro, l’incapacità del sistema di far rispettare tutte le regole amplificano gli squilibri all’interno dell’Europa in cui convivono, con lo stesso cambio, gli stessi dazi e le stesse regole in un mercato unico, un’economia che ha il problema della piena occupazione e una con una disoccupazione al 20%. È uno scenario lunare per chiunque non sia obnubilato dalla propaganda.
Le pressioni sull’Europa che si sono accumulate hanno delle conseguenze precise per il dibattito interno europeo. Perché alla Germania conviene che non cambi assolutamente niente di un assetto di fondo che le consente di scaricare la pressione sulla periferia e in cui le crisi dei debiti sovrani rischiano di essere funzionali e utili, per esempio facendo scendere il cambio. Qualsiasi crisi globale che accenda il debito della periferia facendo partire il solito cinema su spread e banche non solo lascia immune l’economia tedesca, ma anzi la favorisce abbassando il cambio e mettendo i partner extraeuropei nella difficile posizione di dover scegliere se colpire tutti oppure nessuno perché siamo tutti indissolubilmente legati dall’euro.
L’unico problema in uno scenario di divergenza per la Germania è quello di trovare un collaterale, una garanzia, nel caso in cui la forza delle spinte centrifughe presenti l’alternativa tra salvare l’euro pagando finalmente con i soldi dei contribuenti tedeschi oppure uscirne. Infatti, negli ultimi anni compaiono ciclicamente il tema sull’oro della Banca d’Italia piuttosto che sulla troika che prende possesso del ministero delle Finanze italiane.
Che i contribuenti tedeschi non abbiano pagato ce lo ricorda la performance di questi mesi della Banca centrale svizzera. Perché gli svizzeri non avendo l’euro, pur di non far rivalutare il loro cambio, hanno dovuto comprare qualsiasi schifezza immonda e sopravvalutata sui mercati. Un costo reale e non teorico. In conclusione, Altmaier pensa alla Germania e forse fa bene, ma se lo scenario intorno all’Europa cambia, i difetti strutturali dell’euro amplificheranno gli squilibri e i vantaggi di chi ha un’economia che ne beneficia, per esempio perché non è obbligato a risolvere il problema del surplus commerciale, e di chi ci perde. E questo ha precise conseguenze sul dibattito politico interno all’Europa, con i populisti sempre più difficili da sopprimere con mezzi tradizionali, e sulla tenuta della costruzione.