Questa è una delle storie di Ananke, Necessità, la più potente e ineludibile tra le divinità greche: necessità era infatti ciò che animava Marcello, l’uomo di quarantadue anni che non accettava la fine della relazione con la moglie Michela, la loro lenta e irreversibile separazione che aveva fatto emergere quanto lui la considerasse proprietà, quanto ne avesse bisogno per vivere e quanto non accettasse che lei fosse libera.
Per questo la mattina dell’antivigilia di Natale, quando la festa rende ancora più grandi i vuoti e più insopportabili i dolori, Marcello si presenta a casa di Michela. I figli della coppia, due maschietti di dodici e otto anni, sono a giocare a calcio in un campetto vicino. Non sospettano che il loro papà – proprio in quel momento – stia strangolando la loro mamma, non sospettano che poco dopo lo stesso papà sarebbe venuto a prenderli per portarli a casa, al sicuro, mentre lui si sarebbe andato a costituire, non sospettano che quella strana mattina – con la gente di fretta e le luci piene di promesse – avrebbe segnato per sempre la loro vita.
Ed è qui che Necessità fa entrare in scena un altro protagonista, uno che potesse prendersi cura dei due bambini rimasti improvvisamente orfani a poche ore dal Natale. Non si tratta però del solito personaggio, del familiare straziato che cerca di fare come può per far fronte alla tragedia, perché l’eroe di questa storia non è una persona, ma un intero comune, una comunità di 44mila persone, Alghero.
La notizia infatti si sparge in fretta: accorrono tanti papà, tante mamme, chi per dare una carezza, chi per offrire un soldino, chi solo per fare un regalo che faccia compagnia al dolore straziante divenuto compagno di viaggio di queste due giovani vite. Fra tutti loro c’è Mario, il sindaco, che mobilita associazioni, parrocchie e privati cittadini per creare un fondo che vada oltre l’emergenza, l’uomo cui viene la balzana idea, la più straordinaria tra le balzanità di cui l’uomo potrebbe essere capace in un frangente come quello, di scrivere una delibera comunale commovente e pragmatica, lucida e appassionata.
La chiama “adozione collettiva” ed è la determina, votata all’unanimità, con la quale un Comune – sotto Natale – decide di diventare genitore di quei due piccoli finché non avranno vent’anni, o ventisei se andranno all’università, e di sostenerli in modo continuativo, sistematico e convinto nella loro nuova vita a Genova, da quella nonna che ha deciso di prenderli con sé e di tirarli grandi.
È una storia di Necessità questa non per il fiume di persone che ha coinvolto, e neppure per il fatto di aver trasformato il dolore in una carezza: è una storia di Necessità perché è necessità dell’uomo prendersi cura dell’altro, sovvenire al bisogno del suo prossimo, non restare inerte davanti al mondo che grida giustizia.
Per i cristiani Necessità non esiste più. Essa è stata soppiantata da Carità, quella forza che nasce nel cuore dell’uomo – ma che solo Dio dona – e che trasforma ogni atto di generosità destinato a decadere in un atto di fedeltà che rimane, e che costruisce in eterno.
Non capita tutti i giorni di raccontare di gesti che, come ha commentato lo zio dei due bimbi in una dichiarazione alla stampa, abbiano la forza “di rendere più sopportabile il dolore”. Però quei giorni arrivano. E non sono altro che lo spettacolo straordinario di una necessità che si è fatta carità, di un bisogno che ha trovato come grembo la povera, eppure straordinaria, libertà dell’uomo. Ed è così che iniziano tutte le grandi storie: dal cuore di qualcuno che inizia a far spazio a quello che accade. Non per possedere, ma semplicemente per riscoprire in se stessi quel Mistero di gratuità che ci ha fatti, che ci ha reso quello che siamo. E che nessun male potrà mai strapparci da addosso. Neanche la più inesorabile Necessità.