Staccare il ventilatore è da tempo in Gran Bretagna una prassi consueta. I vari “casi” di cui si è parlato nelle testate italiane sono solo la punta di un iceberg, ma non tutti lo sanno.
Nel corso dell’anno appena concluso, 2018, nel sito ufficiale dell’UK Genetic Alliance (un “insieme di associazioni onlus” di famiglie con figli affetti da patologie genetiche, che ha rappresentanti in Parlamento), alla mamma di Lennon, bambino morto a 10 anni senza una diagnosi, era stato chiesto di scrivere qualcosa per celebrare i 70 anni del sistema sanitario nazionale inglese (1948-2018):
“Quando ripenso alle cure che Lennon ha ricevuto dall’Nhs per tutta la sua vita, il momento a cui penso di più è il giorno in cui è morto. Non posso non lodare la cura e la compassione che Lennon, Ian ed io abbiamo ricevuto nelle ultime ore della vita di Lennon. Non dimenticherò mai le lacrime che gli rigavano le guance quando il medico arrivò alle 3 del mattino e rimosse il tubo del ventilatore che teneva in vita Lennon. Era quasi come se potesse sentire il nostro dolore. Sapeva a cosa avevamo rinunciato per il nostro piccolo soldato… lo hanno tenuto in vita fino a quando non siamo stati pronti a dargli i nostri ultimi saluti”.
Collegato a questo c’è un altro post della mamma di Lennon così singolare da aver portato a sospendere l’articolo per parecchio tempo, in quanto la traduzione appariva inspiegabile; e si supponeva un significato allegorico che nessuno sapeva fornire:
“Sapevamo che era improbabile che Lennon sarebbe vissuto fino alla vita adulta e nel corso degli anni abbiamo ipotizzato la fine della vita di Lennon: come, quando, dove. Ho sempre desiderato che la fine fosse al Keech Hospice. Alla fine non abbiamo potuto portare Lennon al Keech. Ma gli staff del Keech Hospice e dell’Addenbrookes hanno spostato le montagne e Lennon è arrivato al suo posto felice appena 12 ore dopo la sua morte. Il personale lì lo ha amato e si è preso cura di lui nei giorni e nelle settimane successivi alla sua morte, proprio come lo avrebbe amato e curato nelle sue ultime ore. Lo hanno lavato e vestito con il suo abbigliamento da paggio. Hanno parlato con lui mentre gli lisciavano i morbidi capelli. Siamo stati in grado di andare al Keech e visitarlo. Nei primi giorni mi sono seduta con lui, gli ho tenuto la mano e gli ho parlato. Ho appoggiato la testa sul suo petto e singhiozzato”.
Che senso poteva avere? Il personale dell’hospice che coccolava per settimane un bambino morto come se fosse vivo?
Nel frattempo sono emersi dal web svariati articoli del febbraio 2017, usciti su molti giornali inglesi, relativi alla storia della mamma di Evlin o Evelin.
Titoli simili: “Charlotte, una mamma che ha trascorso 16 giorni con la sua figlia morta Evlin”. Usando una cuddle cot, Charlotte ed il marito sono stati in grado di alloggiare nell’hospice pediatrico di Martin House, vicino a Leeds, per 12 giorni, trascorrendo quel tempo “curandosi di Evelyn”, la loro bambina morta, lavandola, cambiandole il pannolino, vestendola sempre in modo diverso e…portandola a passeggiare in una carrozzina. La coppia ha infine fatto la scelta di portare a casa la loro bambina per altri 4 giorni, prima del funerale.
Le cuddle cots, letteralmente “culle da coccole”, sono culle, lettini, materassini adattabili alle carrozzine, dotati di un particolare sistema di refrigeramento che crea un ambiente fresco per il corpo del bambino ritardandone la decomposizione. La risposta al “giallo” era quindi molto semplice, come bere un bicchier d’acqua.
Come sia morta Evlin è un particolare sorvolato dalla maggior parte dei giornali, ma non tutti. Evlin aveva una “traslocazione cromosomica sbilanciata”: una grave e rara patologia genetica. Appena nata la piccola ha avuto subito bisogno di essere attaccata ad un ventilatore . Avrebbe dovuto subire un intervento molto rischioso e, se fosse riuscito, l’avrebbe aspettata una vita con gravi disabilità fisiche e mentali. Charlotte avrebbe voluto con tutto il cuore tentare l’operazione e tenere con sé fino all’ultimo la sua bambina, ma “dopo quattro settimane dalla nascita non ha più voluto essere egoista ed ha scelto di dar retta ai medici consentendo di lasciare andare Evelin… “Evlyn è stata trasferita all’hospice il 10 gennaio e non l’ho mai vista così calma: l’abbiamo tenuta stretta e coccolata, per la prima volta per un’ora, prima che spegnessero il ventilatore”. Ma dopo, Charlotte provava troppo dolore: Evlin era dovuta andare via troppo presto. ”Penso che avere trascorso più tempo con lei abbia fatto una grande differenza”, ha detto Charlotte. “Essere in grado di fare così tante delle cose che avevamo immaginato come portarla fuori nella sua carrozzina, ci ha davvero aiutato emotivamente”.
Dal 2012 gli ospedali e gli hospice britannici consigliano ai genitori di passare ancora del tempo con il loro bambino morto, questo grazie alle cuddle cots.
Le cuddle cots “hanno avuto un grande impatto positivo sulle famiglie. Aiutano i genitori a creare ricordi”, afferma la dott.ssa Michelle Hills, consulente in medicina palliativa pediatrica presso la Martin House. “La maggior parte dei genitori accetta questa opzione, è una cosa abbastanza normale. Alcune famiglie vogliono spingere i loro piccoli nella carrozzina che hanno comprato, portarli a casa nella nursery che hanno preparato”.
Creare ricordi aiuta nel processo del lutto. Ci sono genitori che trascorrono fino ad un mese con i loro bambini morti.
Il costo di una cuddle cot? Difficile da capire. In articoli un po’ datati si parla di 1.500 euro l’una. Altrove si legge 6mila euro. Ci sono vari tipi con più componenti, di facile pulizia per garantire la sterilità.
Così scrive l’agenzia inglese di pompe funebri Roftek Ltd Flexmont: “Affrontare la morte di un bambino è chiaramente un evento incredibilmente difficile per genitori ed ai genitori in lutto dovrebbe essere data la possibilità di trascorrere del tempo post-morte con il loro bambino. Fornire alle famiglie questo tempo attraverso l’uso di CuddleCot è incoraggiato a livello internazionale. Gli ospedali sono sempre più criticati se non usano CuddleCots. Nel 2016 Roftek Ltd ha vinto il prestigioso Queen’s Award for Enterprise Innovation, e nel 2015 lo Excellence in Innovation Award presso le Camere di commercio di Birmingham. Ha inoltre vinto il Big Ideas Business Award 2013 presso l’Università di Warwick per l’innovazione: “I prodotti Flexmort sono utilizzati in tutto il mondo e abbiamo un contratto nazionale con gli ospedali Nhs del Regno Unito. I prodotti di stoccaggio del corpo di Flexmort hanno rivoluzionato il concetto di stoccaggio mobile del corpo rendendo possibile che il defunto venga raffreddato ‘con dignità’”.
Abbiamo raccolto tante altre storie simili, purtroppo, da creare un dossier… ma le storie di Evlin, un mese di vita (con diagnosi senza terapia, come i “Charlie Gard”) e di Lennon, di 10 anni (senza diagnosi come gli “Alfie Evans”), entrambi non terminali, morti perché staccati dal respiratore col consenso del papà e, sconcerta ancor di più, della mamma che li ha portati in grembo nove mesi, sono più che sufficienti per farci fermare, tra nausea, disgusto e brividi, per gridare al Cielo: pietà. Pietà per questi infanticidi terribili. Pietà per questi papà, per queste mamme manipolate e anestetizzate che trastullano per giorni e giorni il loro bambino morto.
Macabra follia, surrogato estremo offerto dal Potere che tenta di uccidere l’anima dei genitori prima ancora del corpo dei figli.