Uno delle decine di migliaia di migranti morti annegati cercando di attraversare il mare, dall’Africa all’Italia. Arrivato sulle spiagge della Libia o della Tunisia dopo un viaggio lunghissimo, dal Mali, dove era nato. Uno dei tantissimi ragazzini minorenni morti, aveva 14 anni, dopo aver sofferto le pene dell’inferno in quella marcia disperata, e poi preso botte e fame mentre aspettava di imbarcarsi. Quando hanno recuperato i suoi poveri resti dalle acque, e gli hanno tolto i vestiti o quel che rimaneva, si sono accorti che nella giacchetta che indossava c’era qualcosa di cucito all’interno, una pagella. Tutti ottimi voti. Lo racconta Cristina Cattaneo, il medico legale che ha trovato la pagella, nel suo libro “Naufraghi senza volto” (Cortina editore) che raccoglie tante storie allucinanti come questa: “Capii subito che stavano guardando il corpo di un adolescente. Le ossa si formano dall’unione di diverse parti più piccole che durante la crescita si fondono. Le loro dimensioni e il loro livello di fusione scandiscono le diverse età”. Ma la storia è diventata virale anche grazie alla vignetta di Makkoz su Twitter.
BAMBINO MIGRANTE ANNEGATO CON LA PAGELLA CUCITA IN TASCA
In quel caso le ossa dei polsi, spiega “scendevamo a 14 anni, ed era il nostro “ragazzo” più giovane””. Chi gli aveva cucito la pagella? Perché farlo? Sicuramente la mamma, che non avendo altro da dargli gli aveva messo bene al sicuro quel prezioso documento, come dire: ecco, con questo potrai far vedere che sei un bravo ragazzo, che hai studiato, che hai voglia di farlo. Potrai trovare un futuro in Europa. Altro che criminali spacciatori di droga come si vogliono oggi far passare tutti i migranti. Altro che fannulloni che vengono qui a rubarci casa, sicurezza, sodi dello stato. Ma quel documento non gli è servito (se mai gli fosse servito, rinchiuso in qualche centro di detenzione per migranti) perché è morto in mare. Con la sua pagella, i suoi sogni, i suoi desideri, la sua buona volontà. Doveva dimostrare di essere “bravo” con quella pagella, per poter essere accolto, ma neanche questo è bastato al bambino migrante.