Molte personalità della cultura e della politica in questi giorni ricordano il centenario della formazione del Partito popolare italiano (Ppi). Anche Silvio Berlusconi, a complemento dell’annuncio di una sua ricandidatura alle elezioni europee, in una lettera al Corriere della Sera, ha voluto richiamarsi alle idee di don Luigi Sturzo e al famoso appello “Ai liberi e forti”, lanciato il 18 gennaio 1919. Quell’anno fu un crogiolo di novità politiche: emersero da un lato il fascismo (il programma di San Sepolcro), dall’altro le divisioni nel partito socialista (il Congresso di Bologna) culminate due anni dopo con la nascita del partito comunista. Ma fu soprattutto la nuova identità politica dei cattolici che plasmò il futuro civile e morale dell’Italia, anche se i suoi frutti maturarono con De Gasperi solo dopo la parentesi mussoliniana.
Sturzo capì il momento e agì di conseguenza. Gabriele De Rosa ha ben evidenziato che il suo programma diede voce non solo ai cattolici, autoesclusisi dalla politica per la “questione romana”, ma ad una vasta parte di Italia rimasta fuori dal processo risorgimentale. Perciò Federico Chabod definì la nascita del partito popolare l’evento politico più importante del XX secolo, non appena per i cattolici, ma per la società intera.
Il fondatore di Forza Italia ha fatto dunque bene a ricordare l’attualità del pensiero di Sturzo: la centralità della persona, la sussidiarietà, la libertà religiosa, la difesa delle autonomie locali sono ancor oggi valori imprescindibili di ogni buona politica. Ma oltre l’attualità, va ricordato che Sturzo, pur dentro l’alveo della tradizione in cui era nato e a cui apparteneva, creò qualcosa di nuovo, adatto ai suoi tempi. Il profilo politico dei cattolici non fu ovviamente quello dell’intransigentismo, ma neppure quello di Meda, né quello di Murri. Dunque non ripropose formule del passato.
Anche oggi ci vuole la capacità di leggere il presente e proporre qualcosa di nuovo. Le cose sono cambiate, moltissimo e in pochi anni. A proposito di “liberi e forti”, oggi colpisce soprattutto la mancanza di energia. Una debolezza morale, uno spossamento interiore, impedisce di dar seguito a ciò che il cuore sa essere buono e giusto e mina persino la capacità di riconoscerlo immediatamente (nel profondo no: la gente in cuore lo sa che non è umano lasciare in mezzo al mare 49 persone; ma non fa niente lo stesso). Eppure, anche se il grosso, il corpaccione del popolo è in narcosi profonda, un’altra Italia, minoritaria, a cui rivolgersi ci sarebbe pure e tante opere sociali lo dimostrano. Per ora porta pochi voti, ma valorizzarla sarebbe politicamente una vera novità.