“Il fenomeno dei maltrattamenti, esploso negli ultimi 4-5 anni, supera oggi di gran lunga i 100 casi l’anno, senza peraltro vedere la fine”. Lo scrive Vittorio Lodolo D’Oria, medico esperto in burnout degli insegnanti il quale, nel deserto generale di mass media e specialisti di ogni risma dimentichi dei diritti dei docenti, mette in relazione il fenomeno col fatto che “le nostre maestre sono divenute le più vecchie d’Europa con le quattro riforme previdenziali degli ultimi vent’anni e sono, in gran parte, maestre-nonne che seguono fino a 29 bambini e sono schiantate dall’usura psicofisica”, aggiungendo che “è da sottolineare quanto stupefacente sia il silenzio di Miur e Mgg (i ministeri dell’Istruzione e della Giustizia), che non hanno neanche ravvisato la necessità di istituire almeno un tavolo di lavoro per affrontare il duplice fenomeno nei maltrattamenti nei confronti della piccola utenza così come quello delle violenze sui docenti”.
Parole sante. Un quadro identico riguarda le scuole medie e, spesso, anche le superiori ed è un vero peccato, perché gran parte del problema educativo che sta dietro alle violenze nelle scuole (assolutamente deprecabile) risiede proprio qui.
Tempo fa un ministro dell’Istruzione – il quale, come la quasi totalità di chi ha occupato negli anni tale dicastero, nulla sapeva della scuola – affermò che sarebbe stato un errore mandare in pensione i docenti “ancora giovani”, perché il sistema avrebbe così perduto la loro esperienza proprio nell’età migliore. Il suo successore di oggi insiste nell’ignorare totalmente la questione e ancora pochi giorni fa è tornato a dire che “le telecamere possono avere certamente un’azione preventiva” sui maltrattamenti in classe. Tutto lì. Come dire che per fermare il cancro basta fare un controllo ogni tanto o ingoiare una pastiglia.
Bene ha fatto Leonardo Eva da queste colonne, pochi giorni fa, a ricordare che “servono educatori veri, non un’ora in più” di educazione alla cittadinanza. Peccato che anche gli educatori veri siano stati dimenticati proprio dallo Stato. Eppure, il codazzo dei favorevoli alla proposta del governo aumenta ogni giorno: cattolici à la page e loro giornali, intellettuali di grido come, ultimo in ordine di tempo, Ferruccio de Bortoli, associazioni di base e perfino amministrazioni comunali con le raccolte di firme.
Nessuno, proprio nessuno che si ponga il problema: come fa un docente nell’età di essere nonno a insegnare – non a passare informazioni, conoscenze o competenze, ma proprio a “lasciare un segno” buono, utile, positivo, duraturo, capace cioè di squarciare il velo sul senso della vita – contemporaneamente fino a 29 o 30 bambini o ragazzini, tutti ovviamente diversi, sempre più “diagnosticati” (gli alunni con certificato medico di dislessia, disgrafia e simili rappresentano circa il 15% della popolazione scolastica italiana contro il 2% di quella tedesca!) e quindi bisognosi di piani didattici personalizzati, sempre più disagiati (lo sfascio delle famiglie produce anzitutto questo), sempre meno motivati allo studio dalle famiglie stesse, dalla società nel suo insieme, che pensa solo al mercato del lavoro, perfino dalla scuola, ridotta ormai a un gigantesco diplomificio?
L’educazione non può essere trattata alla stregua degli altri comparti della società, non può essere valutata solo sotto il profilo economico-finanziario. Ben venga allora quota 100, se serve almeno a lasciar andare in pensione coloro che non riescono più a sopportare un sistema al quale possiamo applicare il noto proverbio: “Chi semina vento, raccoglie tempesta”. Tempo qualche anno e ce ne accorgeremo.