Dopo Banca d’Italia e Fondo monetario internazionale, anche l’Ocse ha annunciato che taglierà a marzo le stime di crescita del Pil italiano, mentre Pierre Moscovici ha dichiarato che tra qualche settimana la Commissione Ue rivedrà le sue previsioni sul nostro Paese e sulla Ue. Con questi chiari di luna, la manovra correttiva, che il ministro Tria ha ripetutamente smentito, ribadendo come non sia assolutamente in agenda fino a giugno, potrebbe invece tornare d’attualità prima delle elezioni europee? Austerity e fiscal compact sono ancora le bussole che guidano le politiche economiche europee? Lo abbiamo chiesto a Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Dall’Ocse dovrebbe presto arrivare l’ennesima correzione al ribasso delle stime di crescita del Pil 2019 del nostro Paese. Possibile che i modelli econometrici, convergendo verso una crescita più o meno dimezzata rispetto al +1% previsto dal Governo, siano tutti sbagliati?
Conta poco se la crescita 2019 sarà +0,6% o +1%, tenendo conto che ci vuole un +2% per cominciare a restaurare i livelli di incremento dell’occupazione. Di una cosa, però, sono certo: in questo contesto internazionale e con le politiche economiche adottate dal nostro governo, il +1,5/1,6% previsto dal presidente del Consiglio, senza dubbio un gran bel obiettivo, è certamente irraggiungibile.
Le tre misure più evidenti del governo – decreto dignità, quota 100 e reddito di cittadinanza – porteranno benefici almeno sul fronte dell’occupazione e dei consumi?
In generale le considero come operazioni di trasferimento di ricchezza da una componente di popolazione a un’altra, volte a garantire maggiore equità nel Paese. Visto che tipicamente le persone meno abbienti hanno una propensione a consumare il loro reddito leggermente superiore alle persone più abbienti, forse un piccolo effetto sulla domanda di consumi ci sarà, ma molto debole. Non lo vedo certo capace di riportare il Pil dall’1% all’1,6% come pensa Conte. E’ matematicamente impossibile. Un tale livello di crescita si sarebbe potuto raggiungere solo con gli investimenti pubblici, che si trasformano poi in volàno per i consumi, perché distribuiscono nuovo reddito grazie a una maggiore produzione. Ma in questo momento, al di là delle discussioni sui tagli o meno alle stime di crescita del Pil, a mio avviso, restano sul tavolo altri nodi su cui concentrare l’attenzione.
A cosa pensa?
Mettiamo in conto che questo contesto negativo per l’Italia è figlio nuovamente di approcci sbagliati dell’Europa, a partire da un livello generale di leadership europea. Ascoltando, per esempio, l’altro giorno Mario Draghi, a cui come banchiere centrale per quel che ha fatto e per quel che continuerà a fare mi sento di dare un 10 pieno, nella parte del suo intervento che va giudicata in quanto grande potenziale leader europeo il mio giudizio si ferma invece alla mera sufficienza del 6.
Perché?
Non basta dire che siamo in difficoltà perché la domanda esterna è calata. Noi non abbiamo creato l’Europa per essere nelle mani del contesto esterno, abbiamo creato l’Europa per prendere il nostro destino nelle nostre mani. Quindi si deve parlare da veri leader: se là fuori c’è una congiuntura negativa, la dobbiamo risolvere noi all’interno.
In che modo si può fare?
Occorre spingere la domanda interna. E l’unico modo in cui i governi lo possono fare è ovviamente adottando politiche fiscali più espansive.
E questo Draghi non lo dice?
No. Anzi, chiede ai Paesi a più alto debito di essere più severi per rimettere fieno in cascina in questo momento di difficoltà. Questo porta il ministro Tria a dire no alla manovra correttiva, e fa benissimo a dirlo, perché sarebbe un harahiri totale. Lo stesso harahiri che avremmo commesso se avessimo avuto le politiche economiche richieste da Padoan e Gentiloni nell’aprile 2018, con un deficit 2019 dello 0,8% convergente allo zero. Si rende conto in che stato sarebbe oggi l’Italia, se questo governo avesse aumentato l’Iva? Saremmo in uno stato peggiore di come siamo oggi.
Ma il contesto europeo continua a chiedere austerity…
Sebbene tutti ormai sappiano che è morto, il fiscal compact, che doveva durare 5 anni e poi essere valutato, continua a essere stranamente in vita, così che il governo italiano, anche se è riuscito a ottenere molto di più in politica fiscale di quanto avessero chiesto Padoan e Gentiloni, si ritrova a dover dire che l’anno prossimo e tra due anni aumenterà di nuovo l’Iva. Mi metto nei panni degli imprenditori, che hanno avuto oggi un po’ di ossigeno, ma che andranno incontro a una mazzata l’anno prossimo e il successivo: faranno gli investimenti? No, e questo non fa ripartire la macchina italiana.
E’ l’unico motivo che spiega il nostro impasse?
C’è un altro motivo, questo sì totalmente a carico del governo attuale e non dell’Europa. Il governo giallo-verde ha infatti deciso di fare più equità senza sviluppo – l’equità è certamente una cosa giusta, ma senza sviluppo è un peccato – invece di fare più equità con sviluppo. Poteva usare le risorse in più liberate sempre con l’obiettivo finale di aiutare le persone in difficoltà, ma dando loro quella risorsa fondamentale, che va al di là dei meri mezzi assistenziali, chiamata lavoro, e quindi dignità. Non è stato fatto, né è stata decisa una manovra basata su investimenti pubblici. E visto che reddito di cittadinanza e pensioni non entrano nel Pil statistico, in questo modo ci siamo condannati da soli a discutere se faremo +0,6% o +1%, che in fondo è la stessa cosa, perché questo Paese, non risolvendo i suoi tantissimi problemi strutturali, resta in una situazione di grave difficoltà.
Moscovici ha detto che tra qualche settimana la Commissione rivedrà le stime di crescita dell’Italia e della Ue. Qualora l’asticella dovesse avvicinarsi più allo 0,6% che all’1%, dobbiamo temere che tornino in pista la procedura d’infrazione e la richiesta di una manovra correttiva?
Ma se l’immagina se, ad aprile o maggio, con l’Italia che va alle elezioni europee, la Ue dovesse chiedere di fare una manovra correttiva? Così portiamo la Lega al 45% e il M5s al 35%, una piattaforma tutta basata sull’anti-europeismo… Sarebbe una follia totale per provare a disgregare definitivamente l’Europa.
Tutto potrebbe essere rimandato a dopo le europee, quando molto probabilmente sarà nata una Ue diversa con una Commissione diversa? In tal caso, un’Europa sovranista – visto l’atteggiamento duro che il premier austriaco Kurz ha tenuto sui conti pubblici italiani durante il braccio di ferro del Governo con Juncker e Dombrovskis – non sarà ancora più inflessibile nel chiedere all’Italia una correzione di rotta per contenere deficit e debito?
Io scommetto su un terzo esito, molto più sperabile.
Quale?
Vedo la disgregazione molto più probabile in caso di vittoria ampia di sovranisti o europeisti. I primi, perché vogliono dismettere questa Europa; i secondi, perché la distruggeranno definitivamente con le loro politiche sbagliate. Io spero tanto in un Parlamento europeo bloccato, dove le due forze si equivalgano, o quasi, e siano obbligate a fare dei lenti passi di compromesso. L’Europa è malata e in questo momento ha bisogno di andare piano, non di correre i 100 metri. Abbiamo bisogno di una seria riflessione su quelli che dovranno essere i prossimi passi e sarà necessario coinvolgere tutte le componenti. Solo discutendo senza barriere ideologiche si potrà sperare di ritrovare un senso comune di unità europea. Con un Europarlamento bloccato le richieste della nuova Commissione Ue saranno certamente più morbide, così da aiutare il percorso di recupero dell’Italia.
L’Europa, ricordava all’inizio, deve riprendere in mano il proprio destino. Il recente accordo di Aquisgrana tra Germania e Francia va in questa direzione?
L’Europa si è unita con l’idea che politiche coordinate e comuni ci avrebbero resi più forti. Accordi bilaterali, che andavano benissimo negli anni Sessanta, oggi nel XXI secolo, in un contesto europeo molto diverso, non sono più un passo avanti. Lo vedo, anzi, come un ritirarsi davanti alle difficoltà. E’ un progetto miope, che amplifica le forze disgregatrici e sovraniste: in questo mondo globalizzato Francia e Germania sono piccole formiche rispetto alle dimensioni di cui c’è bisogno per riuscire a imporsi. Tanto più Berlino e Parigi stringono accordi a due, tanto più gli altri si sentono autorizzati a fare accordi particolari anche loro. Lo stesso successo di Francia e Germania è strettamente legato al successo dell’Europa. Invece questi due piccoli leader indeboliti, Merkel e Macron, hanno ottenuto un solo risultato: rendere più piccola l’Europa.
(Marco Biscella)